America Latina: quando la protesta viaggia sulle spalle delle donne

di Sabrina Bergamini
Reset DOC
C’è un filo rosso che unisce le donne immigrate in Italia dall’America Latina, in cerca di un futuro migliore per sé e per le famiglie rimaste in patria, e le donne che hanno preso parte ai movimenti sociali e di protesta che hanno caratterizzato il continente sudamericano nella sua resistenza alle politiche neoliberiste. Un legame unisce l’esperienza individuale e sconosciuta della donne, tante, che hanno lasciato mariti figli e genitori per venire a lavorare in Italia con l’obiettivo di una vita migliore, per sé e soprattutto per le loro famiglie, e l’esperienza singola e collettiva delle donne che in America Latina hanno preso parte ai movimento sociali degli ultimi decenni e ad esperienze importanti, innovative, affascinanti, rivoluzionarie, dalle guerrigliere zapatiste in Messico alle Madres di Plaza de Mayo in Argentina, alla lotta contro la privatizzazione dell’acqua in Bolivia. Il filo comune che lega queste donne è in fondo proprio la lotta quotidiana contro le politiche neoliberiste che in America Latina si sono esercitate prima che in Europa.
Sono donne spesso invisibili – perché sconosciute, perché semplici migranti che portano con sé storie personali, drammi, lacerazioni, perché protagoniste dei movimenti di lotta ma non della storiografia e dei racconti che ne sono seguiti – ma sono tutte impegnate a combattere un sistema economico che le sfrutta e a lottare al tempo stesso contro la marginalità, contro l’esclusione e la discriminazione, contro il patriarcato e il maschilismo. Sono tutte donne che si portano dietro un bagaglio pesante: è fatto di forza e di solitudine, di sacrificio e di partecipazione, di invisibilità – perché la loro lotta collettiva non viene riconosciuta, perché la loro storia di madri migranti si perde in quella di tante altre storie – e allo stesso tempo di protagonismo – perché sono loro che spesso hanno preso per mano i cambiamenti sociali in America Latina o ne sono state prime interpreti. Tutto questo è raccontato in “Invisibili? Donne latinoamericane contro il neoliberismo” (Ediesse 2014) scritto da Laura Fano Morrissey.
Il libro alterna la testimonianza raccontata in prima persona di sei donne latinoamericane immigrate in Italia con quattro saggi su eventi considerati particolarmente emblematici della lotta al neoliberismo in America Latina: il movimento zapatista in Messico, le battaglie per l’acqua in Colombia, le lotte in Argentina con l’esperienza delle “fabbriche recuperate” e il protagonismo delle Madri di Plaza de Mayo, e le trasformazioni legate all’ascesa di Chavez in Venezuela. Tutto visto dalla parte delle donne, troppo spesso dimenticate eppure protagoniste in prima persona di tutti questi eventi.
Ed è giusto che il titolo del libro sia accompagnato da un punto interrogativo, perché affermare l’invisibilità tout court di queste donne sarebbe stato troppo crudele: è vero, sono invisibili e “ordinarie”, dimenticate dalla grande storia e finanche dalle cronache che raccontano di quei movimenti sociali, ma non è affatto invisibile l’apporto che hanno dato alle trasformazioni degli ultimi decenni, alla resistenza contro le politiche di sfruttamento, ai cambiamento sociali grandi e piccoli intercorsi nelle società e nelle famiglie. Anche quando sono donne che lasciano il proprio paese, emigrano e rimangono sole, quella che si riproduce è una lotta contro le disuguaglianze, le discriminazioni, le politiche di austerità. Scrive l’autrice: «In America Latina, negli ultimi decenni, le donne sono state parte integrante di una lotta al neoliberismo sfrenato, così come di una lotta più nascosta contro il maschilismo e il patriarcato, l’esclusione e la marginalità. Le donne migranti in Italia hanno anch’esse combattuto una lotta silenziosa contro tutte le avversità derivanti dalla loro condizione di migranti, donne, lavoratrici e madri, con carichi di responsabilità immensi nei confronti delle famiglie, oggetto di razzismo nel paese di approdo e soggette a perdita d’identità e solitudine. Tutte queste donne sono accumunate dal neoliberismo, quel neoliberismo che, in patria, ha spinto alcune di loro a lottare, altre a fuggire. Paradossalmente, le donne che hanno scelto di fuggire, si trovano ora a doversi scontrare con il neoliberismo e l’austerità qui in Europa».
Le donne sono state fra le prime vittime delle politiche neoliberiste imposte all’America Latina negli anni Ottanta e Novanta, racconta Laura Fano Morrissey, politiche che «si sono rivelate totalmente fallimentari ed hanno portato, da un lato, a una reazione popolare di ribellione sempre più accesa e, dall’altro, a un incremento massiccio dell’emigrazione». Da un lato ci sono stati movimenti di protesta innovativi, che hanno puntato a ridisegnare l’assetto delle società protestando contro le privatizzazioni e i tagli alle politiche sociali. Dall’altro, sono state numerosissime le donne che sono partite alla volta dell’Europa e hanno lasciato in patria mariti, figli, madri e padri, famiglie da mantenere ma anche famiglie sempre più spesso sfaldate, spezzate, allargate e fluide. Sono donne che si portano nell’animo profonde lacerazioni emotive. Spesso finiscono in una sorta di limbo: vorrebbero tornare in patria ma sanno che difficilmente lo faranno, mitizzano il paese d’origine e ne rimpiangono molti aspetti ma allo stesso tempo sono legate all’Italia, dove ormai vivono e dove spesso hanno portato i figli. «Queste donne, così come la maggior parte dei migranti, sono venute in Europa piene di speranze, speranze alimentate dalla rappresentazione falsata e mitizzata dei mezzi di comunicazione, ma finiscono per fare lavori peggiori di quelli che facevano in patria, impiegate come domestiche, babysitter o badanti – scrive l’autrice – Non solo le loro prospettive professionali si annullano, ma le loro esperienze personali sono fonte di forti traumi a livelli psicologico e generano conseguenze difficili da cancellare. Si sarebbe mai immaginata Marcela di finire a dormire per strada in un paese dell’occidente ‘così pieno di opportunità’? Si sarebbe mai immaginata María, venuta qui per far sì che le figlie studiassero, che anche loro sarebbero finite col diventare lavoratrici domestiche, straniere in Italia, nonostante gli enormi sacrifici della madre? ».
Fra le esperienze raccontate dall’autrice in questo spaccato di America Latina, spaccato di storie ed esperienze diverse, non si può non citare quello delle guerrigliere zapatiste in Messico. «Sono loro le prime a emanciparsi. Seppur guardate male e con sospetto nelle comunità, piano piano insinuano una curiosità e voglia di emulazione nelle donne della generazione più adulta, ormai già catturate dal patriarcato». Così come non si può non ricordare l’esperienza fondamentale delle donne argentine. «Le Madres de Plaza de Mayo sono da tutti conosciute per il loro impegno nella ricerca dei loro figli desaparecidos prima e per la lotta all’impunità dei militari colpevoli poi, ma non molti sanno che sono state anche un baluardo incredibile per tutta la società civile in lotta contro il debito, la povertà, la corruzione, la crisi economica». Divennero madri di tutti i desaparecidos come pure «di tutte le vittime d’ingiustizia». Ci sono poi, accanto a queste storie – non sempre adeguatamente rappresentate: il protagonismo delle donne latinoamericane si scontra sempre con i retaggi del passato, col patriarcato, con le vecchie dinamiche che relegano il loro ruolo nel buio – le storie individuali delle donne che parlano in prima persona della loro esperienza di migrazione in Italia. Sono voci accumunate spesso da un vissuto doloroso, dalla solitudine, dalla mitizzazione del paese d’origine, da famiglie lacerate e ricomposte, da un amore materno che muove le decisioni più difficili ma che non lenisce il dolore. Racconta ad esempio Rosa, del Nicaragua: «Piuttosto che rifare quello che ho fatto, preferirei mangiare pane e acqua ma rimanere con le mie figlie». E anche quando il sentimento è più lieve c’è questo doppio moto dell’anima che fa anelare il paese d’origine ma che lega all’Italia, come è evidente nel racconto di Roseline: «Quello che mi manca di più del Brasile è l’aria, il calore della gente, il fatto che se hai bisogno di aiuto, se hai un figlio che sta male, i vicini ti aiutano sempre. (…) Però quando vado in Brasile mi manca l’Italia».
Invisibili? è certamente un libro dalla parte delle donne, della loro rivoluzione dal basso, combattuta giorno dopo giorno e sacrificio dopo sacrificio, spesso nell’ombra ma con la forza di chi anche nei momenti di grande difficoltà è capace di uno scatto, di una protesta, di una lotta che permette di evitare la disperazione e di riconquistare speranza e dignità. È un racconto di parte, certamente, nei saggi sui movimenti dell’America Latina e nella visibilità data alla voce delle donne migranti che raccontano esperienze difficili e vite non facili. Ed è bene che sia così: su questi temi essere “equidistanti” e distaccati non sembrerebbe un gran pregio.
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