Cosa serve per la prevenzione dei genocidi?

Analisi di Marcello Flores, storico e professore dell’Università di Siena
da Gariwo.net

Quando il 9 dicembre del 1948 è stata approvata la Convenzione sul genocidio, la si è voluta chiamare “Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio”, mettendo la prevenzione prima della punizione. Purtroppo dobbiamo constatare che se in alcuni casi, per fortuna, vi sono state sentenze che hanno condannato persone responsabili di genocidio, assai più difficile è stato mettere in piedi delle azioni per prevenirlo. Troppo spesso, addirittura, non si riconosce che un genocidio è in corso e si ha il coraggio di farlo solamente quando esso è già stato parzialmente compiuto e si è riusciti, in qualche modo a fermarlo.
Oggi esiste, presso le Nazioni Unite, lo Special Advisor on the Prevention of Genocide, che cerca di raccogliere ogni documentazione possibile, soprattutto attraverso quel processo di early warnings che in ogni Paese a rischio cerca di monitorare, analizzare, diffondere e comunicare le informazioni. Dal momento che la scelta di poter intervenire – e come – in casi in cui vi siano atti di genocidio incipienti dipende dalla comunità internazionale, dalla volontà degli Stati, dalla capacità di un Consiglio di sicurezza di muoversi all’unanimità e senza strumentalizzazioni politiche, bisogna rendersi conto che molto spesso quando la situazione sta ormai degenerando in un genocidio è più difficile intervenire. La politica prende il sopravvento sulla necessità di muoversi con giustizia.
Bisogna interrogarsi, allora, se non sia possibile operare una politica di prevenzione partendo da molto prima, e soffermandosi su due questioni che attengono a ogni Stato e in cui la voce dei cittadini presso il proprio governo può essere di qualche importanza. La prima è la questione della sovranità, la seconda quella della responsabilità. Costringere i governi a impegnarsi in un dialogo costruttivo non è facile se si resta ancorati – come purtroppo è vero ancora oggi – a una visione della sovranità nazionale come perno della identità collettiva di una comunità. E se non si ritiene che ogni Stato ha la responsabilità di intervenire non solo dove i propri interessi sono messi in discussione, ma in ogni situazione in cui si vengano a creare situazioni di ingiustizie che possono deflagrare verso conflitti aperti, violenze e magari genocidio.
Nel 1954 il Segretario generale dell’Onu, Dag Hammarskjöld ricordò che le Nazioni Unite non sono state create per portarci in paradiso, ma per salvarci dall’inferno. È con questo spirito che l’opinione pubblica deve al tempo stesso pretendere di venire informata (in Italia da giornali e media che non hanno il minimo interesse per quanto avviene al di fuori dei nostri confini) ma anche informare e costringere a essere informati i governi.
Da questo punto di vista esiste una possibilità che, pur se difficile, si potrebbe cercare di mettere in funzione. Sono centinaia le ONG italiane che operano in diverse parti del mondo e che accumulano informazioni che nella maggior parte dei casi rimangono confinate ai propri membri o a chi le cerca e le trova a volte con difficoltà. Bisognerebbe creare una sorta di coordinamento informativo che, sulla base dei criteri per individuare i primi atti che possono col tempo evolversi in genocidio, invii a un database comune le informazioni in loro possesso. Ognuno di noi può cercare nei siti delle grandi agenzie di diritti umani e di intervento umanitario alcune di queste notizie, ma occorre uno sforzo non solo per una raccolta comune e omogenea delle informazioni, ma anche per la loro diffusione, coinvolgendo ovviamente anche le strutture istituzionali (a partire dal Ministero degli Esteri).
Per provare a organizzare questo lavoro sarebbe utile che nel nostro Paese venisse creata quella figura che da tempo l’Europa ci chiede di attivare e che l’Italia ha più volte promesso di costituire, e cioè l’Agenzia per i diritti umani, di cui un sottosettore potrebbe proprio essere quello della raccolta di informazioni su questo problema. Educazione, informazione, sensibilizzazione sono i terreni su cui maggiormente possiamo intervenire pur non avendo i poteri che i governi e gli Stati invece hanno. Aiutando, dove è possibile e come fanno alcune organizzazioni, a lavorare per favorire processi di dialogo, di pace, di riconciliazione, che possono essere uno stimolo potente per favorire una riflessione anche dove si stanno commettendo ingiustizie e violenze.
Oggi ci sono alcuni genocidi in corso che necessitano una ferma e rapida presa di posizione ufficiale dei governi. Quanto avviene nei territori controllati dall’Isis è, nella maggior parte dei casi, un genocidio. Bisognerebbe chiedere ai governi europei, al Parlamento europeo e alle istituzioni europee di giustizia internazionale che ci si muova al più presto per indicare nell’Isis una forza responsabile di genocidio, spingendo perché il Tribunale penale internazionale inizi al più presto un’indagine e giunga a una rapida investigazione. Questo è un compito di ogni cittadino, ma se le ONG se ne faranno carico per prime, sarà molto più facile coinvolgere anche i tantissimi cittadini pronti a fare sentire la propria voce anche se non coinvolti in alcuna organizzazione umanitaria o dei diritti umani.