La testimonianza di Magda Jarczak, per capire cosa è il caporalato

 
Il caporalato in agricoltura è una piaga diffusa nel Mezzogiorno, che colpisce stranieri e italiani. Il 13 luglio 2015 Paola Clemente morì nei campi nei pressi di Andria, dove lavorava, colta da un malore. Una settimana dopo toccò a un bracciante sudanese, stroncato da un infarto. Morti di lavoro.
“Il caporalato in agricoltura è un fenomeno da combattere come la mafia e per batterlo occorre la massima mobilitazione di tutti: istituzioni, imprese, associazioni e organizzazioni sindacali”, commentò in quei giorni il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina.
Il primo maggio 2016, la Presidente della Camera Laura Boldrini ha scelto di celebrare la festa dei lavoratori partecipando a un incontro sulla condizione della donna in agricoltura tra caporalato e illegalità diffuse, a Mesagne (provincia di Brindisi) . “Quello che ho sentito oggi dalle donne braccianti pugliesi, è inaccettabile nell’era digitale. Ho ascoltato i racconti di Lucia, Antonia, Maddalena, Vita, Nica e Carmela. Una galleria del dolore: sveglia nel cuore della notte, chilometri e chilometri di viaggio per iniziare a lavorare nei campi alle 5 del mattino e per 10-12 ore di fila. Non possiamo lasciare sole queste donne, non possiamo lasciare solo chi denuncia”, scrisse su Facebook a margine dell’incontro.
Al Festival dei Diritti Umani, abbiamo voluto la testimonianza di Magdalena Jarczak oggi segretaria del FLAI Cgil di Foggia, con un passato da vittima dei caporali nei campi agricoli. Questa è la sua testimonianza, rielaborata dall’intervista andata in onda lo scorso del 3 maggio 2016 a Restate Scomodi, trasmissione di Radio1.
 
Sono arrivata in Italia dalla Polonia quindici anni fa, nel 2001, per la raccolta del pomodoro nelle campagne di Foggia. Ero stata reclutata insieme a mia sorella attraverso un nostro connazionale che poi si è rivelato un caporale. Arrivammo a Foggia e presto ci trasportarono nelle vicine campagne. Ci fecero alloggiare in un casolare abbandonato. Non avevamo acqua, né elettricità.
Abbiamo vissuto tre mesi in queste condizioni, lavorando circa 10-12 ore al giorno solo con una breve pausa di mezz’ora.
Non ci hanno pagate, tanto meno abbiamo mai avuto un contratto di lavoro.
Sono stati i mesi più duri che io abbia mai vissuto. La cosa più brutta che io mi ricordo non è tanto la fatica del lavoro, né la fame – anche questo era un problema: da mangiare ci portavano ben poco – ma il fatto di essere isolati totalmente dal mondo, il fatto di sentirsi di fronte a un sistema talmente grande e ben organizzato da convincerti che nessuno potesse fare nulla.
Ad esempio il sistema prevedeva che le persone vivessero in piccoli, piccolissimi gruppi, di tre massimo quattro persone, per evitare di poter fare amicizia o parlare con gli altri; per evitare così eventuali rivolte e proteste. Però durante il lavoro abbiamo avuto modo di confrontarci con altre persone.
Ce ne è voluto di coraggio per liberarmi dal mio caporale e l’ho trovato quando ho capito che eravamo destinate ad altro. Il mio caporale si occupava anche della tratta delle donne e il lavoro nei campi non sarebbe stato la fine del mio percorso.
Abbiamo chiesto aiuto a una famiglia italiana che passava dei weekend in una casa non tanto lontana dal casolare dove vivevamo e, una notte, siamo scappate. Ci hanno ospitato per una settimana nella loro casa in un paesino vicino; poi ci hanno portato a Foggia e ci hanno trovato un altro lavoro.
Da qui nasce la mia voglia di non abbandonare l’Italia, di provare a impegnarmi per dare una voce a chi tuttora, 15 anni dopo la mia esperienza, una voce non ce l’ha.
I lavoratori non sono affatto consapevoli dei propri diritti ed è questo l’ostacolo più grande ad arginare il fenomeno del caporalato.
Innanzitutto bisogna quindi informare le persone dei diritti contrattuali della legge italiana e contemporaneamente serve un intervento dello Stato e delle istituzioni, perché è vero quello che dice la Presidente Boldrini: le leggi in Italia ci sono ma il problema è che non vengono applicate. Di più: non c’è nessuno che davvero controlla se le leggi rimangono sulla carta oppure vengono applicate.
 

Foto di Leonardo Brogioni per il Festival dei Diritti Umani
Foto di Leonardo Brogioni per il Festival dei Diritti Umani

 
L’intervista di Magdalena Jarczak ai microfoni della trasmissione di Rai-Radio1, Restate Scomodi (3 maggio 2016).