CINA. TRE ANNI ALL’AVVOCATO DEI DIRITTI UMANI

Di Gabriele Battaglia
Radio Popolare
Tre anni con la sospensione della pena.
È decisamente più blanda di quanto si temesse la pena comminata da un tribunale di Pechino a Pu Zhiqiang, l’avvocato per i diritti umani riconosciuto colpevole di incitamento dell’odio etnico e disturbo dell’ordine pubblico. Il massimo previsto era di 8 anni, Pu verrà invece con ogni probabilità rilasciato presto affinché sconti il resto della condanna ai domiciliari, visto che ha già trascorso 19 mesi in galera.
Sotto accusa c’erano sette post pubblicati dall’avvocato su Weibo, il più frequentato social network cinese, tra il 2011 e il 2014. Erano messaggi sarcastici e critici contro le autorità cinesi e singoli politici, che toccavano anche il tema dei conflitti etnici a bassa intensità in Xinjiang e in Tibet. Nel marzo del 2014, Pu aveva definito “un grave peccato” e condannato la strage alla stazione di Kunming, quando quattro militanti uiguri uccisero 29 persone ferendone 140. Ma aveva anche criticato le politiche di Pechino nella regione a maggioranza musulmana: “Se dici che lo Xinjiang appartiene alla Cina, allora non trattarlo come una colonia, non agire come conquistatore e saccheggiatore”, scriveva Pu su Weibo, aggiungendo: “Questa è una politica assurda”.
Al processo dello scorso 14 dicembre, l’avvocato si era difeso scusandosi per il linguaggio irriverente usato nei tweets, ma negando l’accusa di voler fomentare “odio etnico”.
Mo Shaoping, uno dei suoi avvocati, dice che la difesa non riconosce il verdetto e, anche se clemente, la pena inflitta a Pu sembra far parte del giro di vite in corso da un paio di anni contro il movimento weiquan, gli avvocati e militanti per i diritti umani che cercano di usare lo stesso diritto cinese come strumento di difesa dell’individuo contro gli abusi di potere.
Il partito, moderno imperatore collettivo, ha risposto con una strategia duplice: da un lato la riforma dello Stato di diritto, che intende rendere autonome le corti dai funzionari locali ma ribadisce il ruolo guida e super partes del partito stesso, non soggetto al controllo del giudiziario; la repressione di tutti quegli attivisti che teorizzano e praticano nel quotidiano la separazione dei poteri.
Insomma, in Cina l’imperatore può essere benevolente – come dimostra la sentenza di Pu – ma non è possibile attaccarlo individualmente nel nome della legge.
Pu Zhiqiang si aggiunge alla lista degli illustri dissidenti cinesi che sono stati condannati negli ultimi anni: il premio Nobel Liu Xiaobo, l’accademico uiguro Ilham Tohti e un altro weiquan, Xu Zhiyong, condannato nel gennaio del 2014 a quattro anni di reclusione con imputazioni simili a quelle di Pu.