Le donne in Cambogia e l’espropriazione delle terre

di Marta Gatti – Radio Popolare/Esteri
Sono le donne a guidare la protesta contro le compagnie cinesi, nel nord della Cambogia. Le comunità rurali della provincia settentrionale di Preah Vihear, infatti, dal 2011 hanno perso il controllo delle loro terre. La politica governativa delle concessioni ha favorito l’insediamento di aziende cinesi che producono canna da zucchero. Sono circa 40.000 gli ettari che sono stati concessi alle compagnie di Pechino, espropriando i contadini appartenenti a 25 villaggi. Gli agricoltori sono stati privati dei loro campi, in cui coltivavano principalmente riso, e alle comunità è stato limitato l’accesso all’acqua e alla foresta. Lo zucchero prodotto nelle terre espropriate è destinato in gran parte al mercato europeo.
Il programma di concessioni terriere già nel 2012 prevedeva di firmare accordi per la cessione di circa due milioni di ettari a compagnie private. Le proteste che si sono diffuse in tutto il Paese hanno spinto il governo ad annunciare la restituzione di alcune terre ai contadini, garantendo loro titoli di proprietà. Secondo gli attivisti, però, gli annunci governativi non si sono trasformati in fatti. Anche quando gli accordi sono stati cancellati le terre sarebbero rimaste nelle mani dello stato e non sarebbero tornate ai contadini. Secondo le testimonianze raccolte in un rapporto pubblicato dall’ong Grain, in collaborazione con organizzazioni locali, i progetti che dovevano portare sviluppo non hanno generato alcun beneficio per le popolazioni locali. Le compagnie cinesi avrebbero distrutto l’economia dell’area e assunto personale non originario della regione.
Le donne organizzano proteste, si oppongono all’arrivo dei bulldozer e in molti casi affrontano la prigione. Secondo il Centro Cambogiano per i diritti umani sono soprattutto loro a subire gli effetti dell’accaparramento delle terre. Non riescono ad accedere a titoli di proprietà sicuri, subiscono minacce o intimidazioni da parte della polizia e in alcuni casi trovano nel suicidio l’unica via di scampo. Molte di loro scelgono, invece, di reagire e lottare in prima persona.
Basta contare gli appelli per la liberazione di attiviste lanciati dal Centro Cambogiano per i Diritti Umani, per capire quanto le donne siano in prima linea nelle proteste per il diritto alla terra. A diventare un’icona è Tep Vanny, in prigione per la terza volta. La donna è nota per la sua lotta contro la costruzione di un resort di lusso e lo sfratto forzato della sua comunità.