#NoesNo, la vergognosa sentenza sullo stupro di Pamplona

Migliaia e migliaia di manifestanti in diverse città spagnole per protestare contro una sentenza che ha condannato un branco di stupratori solo per abuso sessuale e non per violazione e aggressione con intimidazione.

di Angelo Miotto, da Q Code Mag

#NoesNO è un hashtag che dice libertà. La libertà di chi dice No e No deve essere, ed è un hashtag di rabbia in queste ore in tutta Spagna e non solo, perché ancora una volta i diritti delle donne vengono calpestati in maniera vergognosa.
Il fatto è del 2016: una ragazza di diciotto anni il 7 luglio del 2016 a Pamplona, giorni di feria e divertimento, conosce un ragazzo, poi arrivano anche i suoi amici e nel tragitto notturno viene ripetutamente violentata, con penetrazioni vaginali, anali, fellatio, da un branco di cinque uomini, uno era un ex guardia civil, un altro un militare. I nomi degli stupratori condannati a nove anni di prigione e cinque di detenzione ai domiciliari: José Ángel Prenda Martínez, Ángel Boza Florido, Antonio Manuel Guerrero Escudero, Alfonso Jesús Cabezuelo Entrena, Jesús Escudero Domínguez. Tutti fra i 24 e i 27 anni.
Dopo tutto questo tempo ieri è stato il momento della sentenza, in un processo che ha registrato già più volte la necessità di manifestazioni a favore della vittima, con le strategie difensive del branco che indicavano una persona consenziente, con indagini private che cercavano abitudini particolari per attaccare nel processo.
La sentenza (qui il testo) di tre magistrati riconosce, però, solo l’abuso sessuale. Non la violazione, che prevede aggressione. Le toghe, nella sentenza, motivano affermando che non c’è stata una reazione e quindi un costringimento brutale e di forza, quindi comminano la pena solo per abuso, in cui riconoscono che la vittima non era consenziente ed è stata obbligata.

La reazione è stata immediata, nelle piazze. Donne, uomini, gridando semplici slogan come “No es abuso, es violacion”.

 


Questa sentenza rappresenta un’ulteriore violenza a danno di tutte le donne e anche di tutta la società, perché ancora una volta quello che hanno fatto i magistrati è entrare in una valutazione di tecnicismi giuridici che arriva a dire una cosa drammatica e terribile. Che la diciottenne di fronte a cinque ragazzoni che l’hanno spinta dentro una stanza di 3 metri quadrati dentro un portone alle tre di notte forse doveva reagire in maniera diversa per poter dire che vi sia stata una aggressione.
La sentenza del 26 aprile 2018 è una conferma, la peggiore, di una visione patriarcale e maschilista, di una violenza che oltre che sui corpi viene ripetuta anche nei dubbi, nelle ipotesi, nell’incapacità di giudicare i fatti con la distorsione di una deformazione che non siamo ancora riusciti ad abbattere. Una ferita da rimarginare che riguarda i legislatori, i giuristi, il mondo dell’educazione, della stampa. Che riguarda profondamente le rivendicazioni sociali da esigere, le priorità che aspettano non solo la Spagna, ma anche molti altri Paesi europei e del mondo.