4 ottobre: Perché abbiamo organizzato la visione del film sul caso Cucchi

I diritti o valgono per tutti o non sono diritti, sono privilegi.
di Danilo De Biasio
Nella ricerca della verità e della giustizia per Stefano Cucchi vale questa considerazione, banale per alcuni ma – con l’aria che tira – accettata da pochi. Proprio perché Stefano Cucchi era in prigione per un reato da lui stesso ammesso – “mi dichiaro colpevole di detenzione di stupefacenti, non di spaccio”, aveva detto ai giudici – doveva essere tutelato, perché era inerme, senza vie di fuga, impossibilitato a difendersi di fronte ad un potere quasi assoluto esercitato da chi ha i manganelli per pestarti, le chiavi per chiuderti in cella, l’arbitrio di curarti o lasciarti morire.

I filosofi del diritto potranno spiegarci che da circa 400 anni l’habeas corpus garantisce le libertà personali di un detenuto. Chi vive la realtà del carcere sa però che nei luoghi di reclusione quelle regole sono spesso calpestate. Che succeda in Egitto, in Cina, in Messico sembra quasi scontato; che succeda in Italia fa ancora scalpore.
Se il Festival dei Diritti Umani si occupa del “caso Cucchi”, con la proiezione del film “Sulla mia pelle” è perché l’indignazione per le torture dev’essere universale. Perché sono universali i diritti. Perché non smetteremo di costruire una consapevolezza che non devono esistere altri “casi Cucchi” nelle carceri italiane, egiziane, cinesi o messicane. E che solo alzando lo sguardo sulle battaglie civili dei familiari delle vittime possiamo sperare di riuscirci.
L’evento è stato organizzato insieme a Radio popolare di Milano e l’Assessorato alle Politiche sociali del Comune di Milano.