L’anniversario della prima bomba atomica sganciata su una città – Hiroshima, 6 agosto 1945 – coincide quest’anno con l’annuncio di Trump di stracciare il Trattato antinucleare INF, con le nuove tensioni con l’Iran, con l’acuirsi della crisi tra due potenze nucleari come India e Pakistn. Coincidenze che sembrano convergere verso un riarmo complessivo. Il Festival dei Diritti Umani ha chiesto a Lisa Clark, portavoce delle Rete Disarmo italiana, di spiegare cosa sta accadendo. Il suo – lo leggerete – è un invito anche alla mobilitazione contro il nucleare.
Hiroshima, 6 agosto. Sono passati 74 anni e anche in questo 2019 ricorderemo alle 8.15, con 43 rintocchi di campana, i 43 secondi tra il momento dello sgancio della bomba e il momento dell’esplosione 580 metri sopra la città.
Facciamo memoria, anche grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, gli Hibakusha. Perché siamo convinti che il racconto della tragedia risvegli in chiunque l’ascolti l’impegno a fare il possibile affinché un atto di tale disumanità non abbia mai a ripetersi. Da quel 6 agosto 1945 abbiamo avuto la prova che l’uomo aveva inventato lo strumento che poteva portare alla distruzione di tutta l’umanità. E da allora, prima pochi poi tanti si sono attivati per far sì che l’uso di quelle armi diventasse un tabù per la coscienza umana. Per usare le parole di Einstein e di Russell, rivolti ai capi di governo, “Ricordatevi della vostra umanità e dimenticate tutto il resto.” Dove “tutto il resto” significava la politica di potenza, le sfere di influenza, le alleanze militari.
Sono decenni che ogni 6 agosto (e anche il 9, anniversario di Nagasaki) rinnovo il mio impegno per il disarmo nucleare. E così mi ritrovo a fare un bilancio. Per lunghi anni, pur tra alti e bassi, abbiamo registrato un progresso tutto sommato positivo nell’impegno per il disarmo.
Già negli anni 50, all’ONU si iniziano i negoziati per impedire la proliferazione nucleare. Nel 1968 si adotta all’ONU il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) ma già prima alcune regioni del mondo iniziano a costituirsi in Zone Libere da Armi Nucleari (NWFZ). A oggi oltre la metà del pianeta è NWFZ. Vengono messe al bando le altre armi di distruzione di massa. Gli oceani, lo spazio, i poli nord e sud: ovunque, nei luoghi che ricadono sotto la responsabilità collettiva della Comunità internazionale, si proibisce l’utilizzo di armi nucleari. Passa insomma un’idea di illegittimità dell’uso e della minaccia dell’uso delle atomiche che permea il diritto internazionale, quello umanitario e dei diritti umani. Piano piano diventa coscienza condivisa, tanto che anche gli Stati che continuano a detenere armi nucleari nei loro arsenali, si sentono costretti ad affermare che il loro obiettivo è non usarle mai.
Affermazione ipocrita, poiché anche la deterrenza deve fondarsi sull’ipotesi concreta dell’uso della bomba, altrimenti che deterrenza è?
Dopo una trentina d’anni, vedendo che l’accordo sul disarmo totale delle potenze nucleari previsto dal TNP rimaneva lettera morta, le organizzazioni non governative iniziarono a elaborare un trattato che le proibisse tutte. E questa è la nostra storia più recente. A partire dal 2007, in soli 10 anni, si va dalle prime risoluzioni sulle “catastrofiche conseguenze” dell’uso delle armi nucleari, all’idea del disarmo umanitario (per il bene dell’umanità tutta), all’approvazione in Assemblea Generale dell’ONU da parte di 122 Stati del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW). E al Premio Nobel per la Pace nel dicembre 2017 per la coalizione ICAN di oltre 500 organizzazioni di società civile dei cinque continenti.
Serve ancora moltissimo impegno da parte nostra e degli Stati che man mano stanno ratificando il TPNW per realizzarne il pieno potenziale. Ma, come scrivevo sopra, tra alti e bassi, si procedeva nella direzione giusta.
Ma oggi (scrivo il 2 agosto) invece decade il Trattato INF, che proibiva a Stati Uniti e URSS, poi Russia, il possesso e lo schieramento dei missili nucleari a gittata intermedia – da 500 a 5500 km – negoziato tra Reagan e Gorbaciov nel 1987, che più di ogni altro accordo aveva segnato la fine della Guerra fredda. E’ il trattato che ha portato allo smantellamento, con procedura di verifica internazionale, degli euromissili: oltre 2600 missili sono stati rimossi e poi distrutti entro il 1991. E da lì i negoziati sono proseguiti con grandissime riduzioni anche dei missili intercontinentali: dagli arsenali della Guerra fredda (circa 70.000) si è scesi alle cifre di oggi, meno di 14.000 armi nucleari.
Sebbene io non creda che la morte dell’INF porti automaticamente al ritorno delle armi nucleari statunitensi schierate in Europa, puntate contro la Russia (infatti gli Stati europei hanno un’autonomia politica oggi assai diversa rispetto agli anni 50-60), sono lo stesso angosciata. L’abrogazione dell’INF rischia di sancire la fine – o l’irrilevanza – del sistema dei negoziati multilaterali, del ruolo delle organizzazioni internazionali. E quindi della struttura internazionale nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale, quando la determinazione di chi voleva “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” permise di creare un ordine mondiale fondato sul negoziato, sull’accettazione di regole comuni tese al mantenimento della pace per tutti. Non sempre queste regole sono state rispettate, ma come con la messa al bando delle mine o delle armi nucleari, il primo passo cruciale è far sì che quelle regole siano inscritte nella coscienza comune dell’umanità.
Adesso a noi, società e istituzioni civili europee, il compito di impedire che prevalga l’abbandono dell’ordine mondiale umanocentrico, perché nel 2021 dovrà essere rinnovato l’accordo Start sui missili intercontinentali: se venisse lasciato decadere anche quello, il mondo rimarrebbe del tutto privo di regole che limitano il possesso di armi nucleari e la proliferazione potrebbe esplodere. Tocca a noi impegnarci, incoraggiando le nostre istituzioni a promuovere azioni collettive di distensione, riprendendo i concetti di sicurezza umana comune, sconfiggendo i nazionalismi e i sovranismi. Einstein e Russell ce l’avevano spiegato nel 1955: in un mondo in cui esistono le armi nucleari capaci di annientare la civiltà umana, o se ne esce tutti insieme, o non ne esce nessuno. Il TPNW nasce proprio da questa convinzione: è uno degli strumenti a nostra disposizione per invertire il percorso intrapreso oggi da Trump e Putin.
La foto è di Tomoki Mera per Nikkei Asian Review