E’ forse uno degli interventi più letti sulle rivolte di questi giorni negli Usa. Conta la firma, Kareem Abdul Jabbar, ma conta ancora di più la scrittura diretta che sfida anche il più progressista dei bianchi a mettersi nei panni di un afroamericano. L’ha pubblicata il Los Angeles Times e qui ne forniamo un riassunto parziale, il resto leggetelo in originale.
Innanzitutto la leggenda del basket spiazza il lettore proponendo due reazioni diverse di fronte al gesto omicida di quel ginocchio del poliziotto bianco sul collo di una persona nera rantolante. «Se sei bianco avrai mormorato “Oh mio dio” lamentandoti per l’ingiustizia. Se sei nero – scrive Kareem Abdul Jabbar – sarai balzato in piedi, avrai urlato “Oh no, ancora” e ti saresti ricordato di Ahmad Arbery, ucciso da due bianchi mentre correva nel loro quartiere».
Kareem Abdul Jabbar, intellettuale fine e autore di 16 libri, fa notare lo sguardo del poliziotto con il ginocchio sul collo di George Floyd: calmo, privo di pietà: la banalità del male. Il suo resoconto delle violenze della polizia contro gli afroamericani è impressionante e serve a dimostrare che è proprio il colore della pelle a renderti automaticamente sospetto negli Usa. Il passaggio successivo affronta le dinamiche delle rivolte. «Se sei bianco pensi che quei saccheggi ai negozi e le stazioni di polizia bruciate non facciano bene alla causa. Non sbagli – scrive Kareem Abdul Jabbar – ma non hai neanche ragione, perché la comunità nera è abituata al razzismo istituzionale a scuola, nei tribunali, sul posto di lavoro. Scrivere articoli e sostenere i candidati che promettono il cambiamento non ha prodotto risultati».
L’articolo sul Los Angeles Times continua facendo notare che anche il coronavirus colpisce più la popolazione nera e che sono i posti di lavoro degli afroamericani i primi a saltare, che Trump di fatto sta autorizzando una nuova “caccia al nero”. Per Kareem Abdul Jabbar è giusto mettere sull’avviso i manifestanti che bruciare un auto fa male alla causa, ma poi ricorda che « gli afroamericani vivono da sempre in mezzo alle fiamme, soffocano per il fumo. Il razzismo in America è come polvere nell’aria. Sembra invisibile a meno che non fai entrare il sole. Allora vedi questa polvere dappertutto. Abbiamo la possibilità di pulirla ovunque atterra. Ma dobbiamo stare attenti, perché è sempre ancora in aria». L’invito dell’ex leggenda del basket è davvero toccante: di fronte a questa situazione non stupirti se la «preoccupazione principale della comunità nera non è se alcune anime disperate rubano alcune magliette o addirittura danno fuoco a una stazione di polizia, ma se i loro figli, mariti, fratelli e i padri saranno assassinati da poliziotti o vigilantes. Perché l’alternativa è rifugiarsi a casa per il resto della loro vita, perché il virus del razzismo che infetta il paese è più mortale di COVID-19».