Se guardiamo alle prime settimane e ai primi gesti della presidenza Trump negli Usa verrebbe quasi il sospetto di trovarci dentro un film (un horror? Una commedia tragicomica?), con un eccellente sceneggiatore che riesce a far crescere un climax vertiginoso fra Muslim Ban, ordini esecutivi, attacchi alla libertà di stampa, censura di grandi organi di informazione, gestione privatistica del potere, tabula rasa di un ventennio di politica estera. E una parte consistente della società statunitense che si riunisce dietro a una parola: resist.
Eppure è tutto vero.
Quando la realtà supera il copione, si direbbe, e quando chi interpreta, scrive o dirige copioni si schiera per dire basta, per dire no. E la notte degli Oscar – i Golden Globes ci avevano regalato una strepitosa Meryl Streep – é stata un’occasione ghiotta e potente per lanciare messaggi. E così è stato. Appelli, invettive, assenze dovute agli ordini esecutivi di Trump e altra assenze in solidarietà con chi è stato messo al bando.
I fatti:
- Prima, sul tappeto rosso, alcune attrici hanno risposto alla chiamata dell’Unione Americana per le Unioni Civili di portare un fiocco azzurro (Ruth Negga, Karlie Kloss, Lin-Manuel Miranda).
- Jimmy Kimmel, il presentatore della serata ha rotto subito il ghiaccio: gli Oscar meno razzisti sono giunti quando l’uomo d’affari è arrivato al potere, ha detto Kimmel, che poi ha chiesto alla ‘sopravvalutata’ Maryl Streep (così aveva sentenziato Trump dopo la critica dell’attrice nelle settimane scorse ai Golden Globe) di alzarsi, ricevendo l’ovazione della sala.
- La star messicana Gael Gacia Bernal ha lanciato il messaggio più duro e diretto: “As a Mexican, as a Latin-American, as a migrant worker, as a human being, I’m against any form of wall that separates us,”.
- Il regista iraniano Farhadi – assente per protesta – ha fatto leggere un messaggio:“È un grande onore per me ricevere questo prezioso premio per la seconda volta. Ringrazio i mebri dell’Academy, la troupe, il produttore, Cohen Media, Amazon e gli altri candidati nella mia stessa categoria.Mi dispiace non essere con voi stanotte ma la mia assenza è dovuta al rispetto per i miei concittadini e per i cittadini delle altre sei nazioni che hanno subìto una mancanza di rispetto a causa di una legge disumana che ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti agli immigranti.
Dividere il mondo fra noi e gli altri, i ‘nemici’, crea paure e crea una giustificazione ingannevole per l’aggressione e la guerra.
Queste guerre impediscono lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni.
I registi possono attraverso le loro macchine da presa catturare le qualità umane condivise da chiunque e abbattere gli stereotipi su nazionalità e religioni. Creano empatia tra noi e gli altri, quell’empatia che oggi ci serve più che mai”. - La poltrona vuota in senso metaforico era importante, quella legata al documentario dei White Helmets siriani.
Ecco perché anche oggi possiamo ricordare che l’appello del Festival dei Diritti Umani è uno strumento non solo utile, ma necessario per affermare, riaffermare le ragioni dei diritti a quelle dell’apartheid travestito da ragioni securitarie. Ecco perché torniamo a scrivere nel nostro hastag MakeBordersOpenAgain.