di Nicola Chiappinelli
Foto: Leo Brogioni
«Non possiamo parlare di climate change se non parliamo di uguaglianza». È giovane, ha un sorriso fiero e le idee chiarissime Hindou Oumarou Ibrahim, coordinatrice dell’Associazione delle Donne e Popolazioni
Indigene del Chad, che ha aperto e illuminato la quarta giornata del Festival dei Diritti Umani 2018 parlando dei luoghi e delle società piegate da quei cambiamenti climatici sempre più centrali nelle relazioni causa-effetto che costringono milioni di abitanti delle aree più povere della Terra a cercare altrove fortuna o, per meglio dire, sopravvivenza. Lo ha spiegato in parole semplici Caterina Sarfatti di C40 Cities, che con Hindou ha condiviso il palco anche nel pomeriggio, ricordando che «65 milioni di persone nel mondo sono forzate a spostarsi». Non solo, quindi, anelano legittimamente ad un’esistenza dignitosa: sono semplicemente costretti. E la maggior parte, infatti, si muove da un Paese all’altro del sud del mondo.
La questione del surriscaldamento globale, e dei drammatici eventi climatici che ne conseguono, ha fatto certamente passi avanti nel ritagliarsi spazio mediatico. Lo dimostra anche il protagonismo sulla scena ambientale di grandi nomi dello show-business, uno su tutti Leonardo DiCaprio : il premio Oscar ha prestato la propria immagine a varie campagne, mobilitandosi anche in prima persona nell’affrontare il tema con i leader mondiali e arrivando fino a Papa Francesco, come si vede nel documentario Before the flood, proiettato nella mattinata agli studenti presenti in Triennale.
Passi avanti sono stati fatti anche a livello politico, ma spesso i trattati internazionali sul clima, ultima la Conferenza sul clima di Parigi (COP21), non prevedono penali o punizioni in caso di mancato rispetto degli accordi presi (per esempio sulla riduzione delle emissioni di Co2/anidride carbonica). Il governo degli Stati Uniti d’America, unico a non avervi nemmeno aderito, sta subendo però forti pressioni che fanno ben sperare per il futuro.
Ma le parole non bastano, servono azioni, ha sintetizzato Hindou: «Bisogna creare subito lo status di rifugiato per i migranti ambientali».
La buona pratica che unisce migrazioni e la realtà metropolitana di Milano, dove si svolge il Festival è Passepartout, una rete di cooperative sociali che lavora molto sull’accoglienza diffusa. Silvia Bartellini ne è la presidente. L’intervista di Angelo Miotto.
Se quindi una parte del pianeta, più ricca, produce e consuma in eccesso, viceversa un’ampia fetta di popolazione mondiale vive in condizioni di povertà tali da soffrire maggiormente gli effetti dell’inquinamento incontrollato.
Il progetto fotografico Environmental migrants: The last illusion, di Alessandro Grassani, ha mostrato in modo concreto ai ragazzi quanto siano squilibrati i rapporti di forza in questa battaglia, dal deserto innevato in cui sono morti bestiame e futuro dei pastori della Mongolia per finrire alla siccità in Kenya, dove si fa la guerra per una pozza d’acqua.
L’intervista di Angelo Miotto:
La sera è per il film Psiconautas: utilizzando gli elementi tipici della fiaba – il bosco, il faro, gli animali – il film di Basque Flms è stato costruito a partire dalla graphic novel ed è stato presentato da un maestro del fumetto: Antonio Serra.
Oggi è l’ultimo giorno del Festival: molti gli appuntamenti dall’economia con il keynote speech di Khalid Malik del Global Sustainability Forum. L’economia come centro nevralgico di un possibile cambiamento, vera leva per influire sulle grandi politiche che creano le cause del cambiamento climatico. Sarà anche il giorno in cui si potranno rivedere tutti i Doc, fino all’annuncio del vincitore e alla chiusura del Festival, che avverrà con un film particolare: Lerd, A man of Integrity, vincitore del Certain Regard prize a Cannes nel 2017. Non poteva esserci film più adatto legato ai nostri temi: il regista iraniano Mohammad Rasoulof attualmente si trova in carcere. Il 16 settembre scorso gli sono stati sequestrati i documenti all’aeroporto di Tehran, dopo essere rientrato da un tour internazionale per la promozione del suo film: l’accusa è quella di aver fatto un film-propaganda contro il regime del suo Paese, l’Iran. esiste una petizione online per aiutare il regista e supportare la sua libertà d’espressione.