Algoritmi: imprese globali, rivolte globali

Sciopero il 22 marzo ad Amazon. Sciopero il 26 marzo per i riders di Deliveroo, Just Eat, Glovo e Uber Eats con l’invito ai consumatori a non usare almeno quel giorno i ciclofattorini. In Spagna è passata la legge che considera i riders lavoratori a tutti gli effetti e che permette ai sindacati di vedere dentro gli algoritmi che distribuiscono il lavoro. 

Cosa sta succedendo nelle imprese dove l’algoritmo detta legge? A mettere i fatti uno in fila all’altro sembrerebbe chiaro: è cominciata una fase nuova, i lavoratori – riders, facchini, autotrasportatori – sono stanchi di essere sfruttati e rivendicano i propri diritti. Ma questa vertenza sindacale forse nasconde anche dell’altro: c’è la scoperta, come scrive su “La Stampa” Guido Maria Brera, fondatore di Kairos e oggi paladino di questi lavoratori, della “tecnologia non più al servizio dell’umanità ma utilizzata contro l’umanità, in questa dittatura dell’algoritmo”. 

Quando mesi fa abbiamo pensato di dedicare all’algoritmocrazia la nostra sesta edizione del Festival dei Diritti Umani, non immaginavamo di trovarci immersi proprio in questa tormenta di notizie che prefigurano una ridefinizione del potere di Big Tech. Non è certo l’annuncio di una rivoluzione, piuttosto sembra essere riassetto del potere delle grandi imprese che, in virtù della loro bilanci e della loro estensione globale, contano più di alcuni stati e avrebbero bisogno di regole decise a livello internazionale. Colpisce però che da Milano (l’inchiesta della Procura sulle piattaforme di consegne) a Bessemer (lo stabilimento Amazon in Alabama dove i lavoratori stanno votando per il diritto ad avere un sindacato) venga messa in discussione un’organizzazione del lavoro comune a tutte le piattaforme, da quelle che consegnano cibo a quelle di logistica: ritmi proibitivi dettati da un software, paghe da fame, un sistema che spinge alla competizione fra stessi lavoratori, che minimizza o azzera le tutele sanitarie e che produce guadagni record esclusivamente ai proprietari e azionisti. 

Il caso più conosciuto è Amazon, con guadagni netti nel 2020, l’anno della pandemia, per 21 miliardi. Quanti di questi utili sono finiti in tasca a chi pedala o sfreccia su un furgone per rispettare i tempi di consegna? Poco o niente. Non stupisca quindi se questi piccoli ma fondamentali ingranaggi del sistema Amazon stanno dicendo “basta”. Segnali simili anche tra i “colletti bianchi”, gli impiegati delle grandi imprese delle comunicazioni dall’Alphabet Workers Union dentro Google agli sviluppatori di videogames nella Silicon Valley. 

Seppur con richieste e specificità territoriali diverse, i lavoratori comandati dagli algoritmi hanno molto in comune: non credono più nella narrazione moderna dello smart work, non accettano più di sovraccaricarsi di fatica e responsabilità per regalare soldi e gloria a pochi. Ben sapendo che dietro la fredda formula matematica dell’algoritmo ci sono sempre manager.

Vi aspettiamo al prossimo Festival dei Diritti Umani, dal 21 al 23 aprile.