Sballottati come essere in mare aperto. Chiunque si occupi di diritti umani sta provando una sensazione simile: salvare persone che rischiano di affogare è diventato – sondaggi alla mano – una pessima idea, un modo addirittura per fare soldi. E con questo vento rischiano di essere spazzate via tutte le organizzazioni che hanno i diritti umani, la solidarietà, l’uguaglianza nel loro statuto. Per non perdere completamente la bussola etica forse può essere utile intrecciare qualche dato con l’esperienza che il Festival dei Diritti Umani sta portando avanti da quattro anni.
I dati. L’Istituto Ipsos ha realizzato tra il 2 e il 4 luglio un sondaggio per capire cosa pensano gli italiani della linea dura del Ministro Salvini sui migranti. In quei giorni l’occasione era ghiotta: da una parte la Capitana – Carola Rackete – dall’altra il Capitano, come i suoi fan chiamano Salvini. Ha vinto lui, a mani basse. La media degli italiani che appoggia la linea del Ministro dell’Interno è il 52%. Curioso però che la risposta legge & ordine, ovvero Carola Rackete “ha sbagliato perché ha trasgredito alla legge”, sia stata scelta dal 68% degli elettori leghisti e dal 60% degli elettori di Fratelli d’Italia. La risposta più “cattivista” – perché i migranti non devono sbarcare in Italia – è stata la più votata dagli elettori di Forza Italia, che ci immagineremmo invece più moderati. I “benpensanti” e gli “egoisti” formano quindi un blocco solido, di maggioranza, che non si ferma neppure davanti alla pietà per la sorte di 42 naufraghi. E’ un blocco – politico, in parte anche sociale – che condiziona il dibattito pubblico, ne determina l’agenda. Non stupisce: è un trend globale. Non a caso il Segretario di Stato USA Mike Pompeo ha appena annunciato la nascita di una commissione che riscriverà i diritti inalienabili. Che bisogno c’è di riscrivere la lista dei diritti non negoziabili? La risposta del capo della diplomazia statunitense autorizza a pensar male: «La causa dei diritti umani un tempo univa popoli di nazioni e culture diverse, nello sforzo di assicurare le libertà universali e combattere mali come il nazismo, il comunismo e l’apartheid. Oggi […] le rivendicazioni dei diritti sono spesso mirate a soddisfare i gruppi di interesse e dividere l’umanità». Ecco che il cerchio si chiude: le ong si occupano dei migranti e lo fanno per soldi; il Papa pensa ai musulmani e non ai cristiani poveri; che bisogno c’è di rivendicare l’orgoglio omosessuale e altre litanie che sentiamo e leggiamo ogni giorno.
Sarà dura invertire questa tendenza. Molto dura. Però occorre farlo. Il Festival dei Diritti Umani è nato proprio con questo scopo: far scoprire l’importanza dei diritti umani – che devono essere uguali per tutti – proponendo film, documentari, testimonianze, dibattiti; a partire dai giovani, studenti delle medie superiori in primis. Primo dato: dopo quattro edizioni quest’anno dobbiamo purtroppo registrare un brusco calo delle donazioni (tutte private, non beneficiamo di nessun aiuto pubblico). Vittime anche noi del clima ostile verso chi crede che una società solidale sia più sana di una egoista.
Quest’anno abbiamo distribuito un questionario tra il nostro pubblico. Non vi annoio con le risposte più “organizzative” ma qualche numero può essere utile per segnare sulla cartina dei valori il “voi siete qui”. Il pubblico del Festival dei Diritti Umani conferma la dieta mediatica tradizionale: fino a 49 anni lo conosce perché usa i social media o perché ne ha sentito parlare da amici; dai 49 in su lo conosce perché ascolta la radio, guarda la tv o legge la carta stampata. Inaspettatamente il pubblico sotto i 29 anni vorrebbe sia più film che più dibattiti: c’è ancora voglia di confronto, di conoscere. Lo confermano altre risposte: che obiettivo hai raggiunto partecipando al Festival, domandavamo: 8 su 10 hanno risposto di aver appreso informazioni nuove, solo il 10% ritiene di aver così effettuato una qualche forma di mobilitazione. Ma sono disposti a fare di più, per esempio aiutare concretamente il Festival? Mica tanto: il 44% è disposto a farsi promotore, poco meno del 30% pagherebbe un biglietto (il Festival dei Diritti Umani è a ingresso gratuito), pochissimi sarebbero disposti a fare una donazione. E qui scatta un altro confronto: la Capitana avrà pure perso il derby con il Capitano, in compenso la raccolta di fondi per la Sea Watch 3 a seguito dell’indagine giudiziaria ha raggiunto la quota sbalorditiva di 500mila euro, grazie a circa 30mila donatori. Una forma di solidarietà – si discute ancora se è fundraising o crowdfunding – che è diventata mobilitazione politica. Prima conclusione: non tutta l’Italia si è salvinizzata, molti vogliono capire, ma perché si mobilitino occorrono figure forti e limpide, con obiettivo facilmente individuabile. Caratteristiche che, se ci pensate, mancano alloo schieramento che si oppone all’onda sovranista e populista.
Nel sondaggio del Festival dei Diritti Umani abbiamo anche chiesto ai nostri utenti quale diritto vedessero più in pericolo: la risposta più gettonata (27,7%) è stata la libertà di informazione e d’espressione. Solo la metà ha segnalato la libertà di movimento (migranti). Tra il 6 e l’8% si sono detti preoccupati per i grandi diritti sociali di uguaglianza e di parità uomo/donna; ancora più basso il pericolo percepito per il clima e la pace. Il campione – circa 200 partecipanti al sondaggio – è sufficientemente rappresentativo per trarre un’altra conclusione: non è solo Salvini (e neppure Carola Rackete) il trend setter del momento; l’agenda può essere diversa e non dettata solo dalla contingenza quotidiana. O se preferite: la paura più forte mostrata dai frequentatori del Festival dei Diritti Umani è quella di un’informazione asservita, parziale, a senso unico. Hanno detto che c’è bisogno come l’aria di luoghi di confronto aperto, con dati verificabili, dove sia possibile ascoltare, conoscere, ma anche prendere parola. Solo così si potranno affrontare con serietà i problemi e rintracciare soluzioni possibili, non le semplificazioni a cui il dibattito pubblico odierno ci ha abituato. Salvaguardare gli spazi che già ci sono – com’è il Festival – favorire la nascita di altri, che sappiano usare creativamente le nuove tecnologie è un passo decisivo per non venire travolti da quel vento maligno che fa scegliere alla maggioranza degli italiani il Capitano invece della Capitana.
(La foto è di Leonardo Brogioni)