di Danilo De Biasio
Omar Jimenez, giornalista della CNN, è stato arrestato a Minneapolis durante la diretta delle proteste. Il suo microfono ha fatto in tempo a registrare mentre chiede all’agente: «perché mi state arrestando?». La risposta è degna dei militari alla sbarra a Norimberga: «Non lo so. Ho ricevuto un ordine».
Chris Mathias, reporter specializzato nella destra estrema, è stato rudemente portato via dalla polizia a New York. Entrambi sono stati rilasciati. Rischi del mestiere? In un certo senso sì, ma quando succede sempre in specifiche situazione il sospetto è che non sia un caso ma una precisa strategia. Nel caso statunitense impedire che i giornalisti raccontino le dinamiche degli scontri, in una nazione fortemente polarizzata dalla Casa Bianca. Nulla di paragonabile allo Yemen, alla Siria, alla Turchia, alla Cina qualcuno potrebbe obiettare, ma la libertà di stampa non è un gioco a chi sta peggio: in ogni angolo del mondo, ogni giornalista arrestato, minacciato dalle mafie, ostacolato dalle autorità è una ferita alla democrazia.
L’Italia, con i suoi 20 giornalisti sotto scorta, ne è un esempio. Per questi motivi anche il Festival dei Diritti Umani aderisce all’iniziativa per chiedere che venga cancellato il carcere per i giornalisti accusati di diffamazione. I motivi di questa iniziativa sono argomentati da Raffaele Lorusso, segretario del sindacato dei giornalisti FNSI.
L’intervento di Lorusso è pubblicato sul sito della Fnsi e di Articolo21.