L’immagine scelta dal Festival dei Diritti Umani è uno sgabello con sopra una ruota. Un’invenzione artistica di Marcel Duchamp che abbiamo adottato perché dice una cosa che pare complessa, concettuale, e invece è così semplice. Vedete uno sgabello. Con sopra una ruota. E però è un unicum, uno sgabello con ruota, quello che alla fine si percepisce.
Poco più di cento anni fa, attraverso una grande operazione di rottura con gli schemi e i preconcetti del linguaggio convenzionale, l’arte è stata capace di stravolgere i sintagmi del rapporto tra l’uomo e realtà.
I cosiddetti ready-made, a partire dalle proposte di Duchamp, si proponevano lo scopo di prendere un dato di fatto, un oggetto reale, e di modificarne la percezione attraverso un rinnovato atto mentale. Quando guardiamo, appunto, l’unicum dello sgabello con ruota.
A tale processo concorreva tanto l’azione dell’artista, quanto quella del pubblico ‒ che diveniva imprescindibile parte attiva nella trasformazione del significato dell’oggetto stesso -, essendo guidato a fare una esperienza di qualcosa di noto, di comunemente assunto, da un punto di vista inatteso, capace di stravolgere le convenzioni preconcette.
Lo sforzo di questa edizione del Festival, uno dei molteplici scopi prefissati nell’affrontare un tema così delicato e complesso, è proprio questo: portare le persone a riflettere sulla trasversalità della dicotomia abile/disabile.
La “Ruota” di Duchamp vuole essere un invito ad accostarsi alle occasioni di riflessione che ci saranno proposte in queste giornate di discussione, ricordandosi prima di tutto di non dare nulla per scontato: perché se ribaltiamo il punto di partenza, non ci resta che riconoscere che siamo tutti abili, e nessuno è disabile.