Cronache dal Festival 2018: primo giorno

Millecentoquarantasei occhi. Puntati verso gli oratori, documentari, fotografie e slide che raccontano le buone pratiche in un mondo che corre verso la rovina per due parole brevi; climate change.
di Angelo Miotto
Millecentoquarantasei orecchie hanno ascoltato analisi, dati, proposte, inviti e appelli per cercare di fare della Terra un luogo accogliente. Una, Per tutti e non per pochi, come recita lo slogan di quest’anno, con la terra dentro lo spazio profondo che richiama il primo giro dell’orbita del sovietico Gagarin e la sua frase “da quassù la terra è bellissima, senza confini né frontiere”. Bellissima e sfregiata. Ma fra i proclami del pessimismo c’è spazio per la proposta e per il coinvolgimento in una azione positiva. Lo hanno ricordato dei testimoni, persone che raccontano storie, che vengono ascoltate e che risuonano nell’immaginazione dei ragazzi delle scuole secondarie, distratti fra uno smartphone e il compagno di sedia e che però ricevono messaggi e parole dal palco del Festival.

Foto: Leo Brogioni

Paola Gianotti, il giro del mondo in bicicletta, Massimo Tavoni del Politecnico di Milano con il suo corso sul climate change, Gianluca Ruggieri, che propaga il verbo dell’energia rinnovabile con è nostra e un documentrio di Chiara Andrich e Giovanni Pellegrini  – Bring the Sun Home -. Le fotografie di Stefano Stranges sui gironi infernali del coltan, le notizie dalle terre lontane dello sfruttamento di Beatrice Taddei Saltini e il video di Davide Arcuri.
La mattina del festival è dedicata ai ragazzi, che quest’anno saranno tremila in quattro giorni, in uno sforzo che è il credo politico del tentativo di passare informazione, conoscenza e strumenti per reagire.


Lo scalone con il ponte/naso di Pinocchio è un viavai di gente che scende e che sale per partecipare a una lezione per immagini sulla foresta del Kenya, con Valerio Bini e Mani tese e poi un incontro in cui Kuki Galmann, eco-attivista, ha raccontato la sua storia e il percorso che ha vissuto nel suo personalissimo e originale museo in Kenya, che è luogo e che salva le biodiversità. Con lei c’era Bruno Arpaia, autore di Qualcosa, là fuori, un romanzo in cui i rifugiati climatici siamo noi fra qualche anno, in realtà nemmeno tanti, un libro in cui lo scrittore affronta – dopo aver studiato una vasta letteratura scientifica – i danni del cambiamento climatico sulle popolazioni. Non quelle lontane. Quelle sotto casa.

 

La vernice di inaugurazione del festival ha visto il saluto del nuovo presidente de La Triennale, Stefano Boeri, i due assessori molto vicini al Festival, Politiche Sociali e Cultura, con Pierfrancesco Majorino e Filippo Del Corno. Il presidente di Reset Diritti Umani Paolo Bernasconi, associazione che organizza il Festival, ha ricordato la centralità dei diritti umani e l’impegno di arrivare a raggiungere un obiettivo prevciso: Milano città dei diritti umani.

Appuntamento al secondo giorno, ma solo dopo Grain, il film distopico di Semih Kaplanoğlu, presentato da Antonio Prata, direttore del Festival dei Diritti Umani di Lugano e selezionatore dei film per il Festival milanese.