Di Angelo Miotto, foto di Leonardo Brogioni
Sono gli occhi che ti guardano, da quella foto. È la prima, entrando nella mostra dedicata a lui e ad Andrey Mironov. È il volto di Andy Rocchelli e qui abbiamo esposto le sue foto, anche le ultime, pochi istanti prima che venisse, venissero, uccisi. Era il 2014, a Slovians, Ucraina. Il 24 maggio.
Il secondo giorno del Festival dei Diritti Umani cade esattamente nella giornata mondiale per la Libertà di stampa. Ed è il giorno migliore per inaugurare la mostra dedicata a Rocchelli e per accogliere tanti ospiti che hanno animato la matinée degli studenti, sempre tanti e attenti fino (quasi, ma sono valorosi) all’ultimo e il grande convegno organizzato dal Festival con la Federazione nazionale della stampa FNSI e Articolo 21: il pericolo non dovrebbe essere il nostro mestiere. Il giornalismo tra censure, minacce, guerre.
È andata così: immagini di Alberto Pagano, editing di Alessandro Villamira e Sirai Bucarelli.
Al mattino c’è Giorgio Fornoni che stordisce il barista, baffetto aguzzo e lineamenti mediterranei, chiedendo un caffé-corretto-vino. Abitudini di una tradizione nordica sconosciuta nella metropoli. Sarà Fornoni a presentare i suoi lavori su Anna Politovskaja e il calvario ceceno, mentre le centinaia di ragazzi dialogheranno anche con giornalisti minacciati dalle mafie, come Paolo Borrometi e Amalia De Simone, inviati di guerra come Laura Silvia Battaglia, con Andrea Riscassi e Lorenzo Frigerio, Luka Zanoni e Arzu Geybulla, giornalista azera in prima fila nel denunciare le violazioni dei diritti umani sullo scacchiere azero.
Il pomeriggio è affidato alle testimonianze di giornalisti, di una categoria che si deve fare capace di chiedere modifiche di legge per evitare che alle mafie e ai mafiosi venga regalato uno strumento in più, come le querele temerarie. Il giornalista viene querelato spesso per motivi inesistenti dalle persone che ha smascherato o denunciato, che vogliono così causare una perdita di tempo, energie e soldi per avvocati che risultano disastrose per la buona salute dell’informazione.
C’è un racconto della situazione turca di Ahmet Insel, che ancora una volta racconta con precisione e profondità l’inquietudine di un regime autoritario dispotico, in cui l’unica certezza è l’incertezza del futuro, dove i giornalisti incarcerati sono 150, ma quelli disoccupati – e il dato è drammatico – sono 1500.
Paolo Borrometi e Amalia De Simone sono così bravi nel racconto semplice delle loro vicende di giornalisti minacciati – la scorta li segue passo passo – da tenere una platea numerosa e molto partecipe incollata al loro racconto.
Poi è il momento di Elisa e Rino Rocchelli, e del loro legale l’avvocata Alessandra Ballerini. Li presenta Beppe Giulietti, presidente della FNSI con un discorso secco e molto diretto: nella giornata mondiale della libertà di stampa Giulietti avverte che non si lascino soli i giornalisti minacciati, non si lascia incompiuto il loro lavoro, si raccoglie il testimone. Così come ha fatto Giulietti stesso e la FNSI anche nel caso della morte di Rocchelli e Mironov, insistendo per tornare a far luce su due vittime che correvano il rischio di essere dimenticate. Per questo la mostra allestita qui al Festival da Cesuralab e curata da Leonardo Brogioni, con l’auspicio che possa girare per l’Italia e non solo.
Alessandra Ballerini ha raccontato come si sta lavorando su questo caso a livello giudiziario, descrivendo il grande sforzo di ricerca dei genitori di Andy. Elisa Signori e Rino Rocchelli hanno raccontato in un silenzio rispettoso perché Andy fosse lì, per la passione del racconto della gente comune dentro una guerra civile.
E mentre Gianluca Costantini, che illustrava l’incontro – in streaming come tutti gli appuntamenti del pomeriggio – disegnava i due Andrea che ci guardavano diritti negli occhi chiedendoci “Diteci perché siamo stati uccisi”, Alessandra Ballerini leggeva una mail inviata da Andy a un suo contatto tedesco. parole appassionate dove spicca l’amore per la precisione delle fonti e del racconto.
E così, in un istante di commozione e di silenzio, l’applauso poi si è propagato e ha abbracciato due genitori che non si danno per vinti e che ricordano così l’impegno di un professionista dalle parole e dagli scatti così umani.