Quando il saggio indica i diritti lo stolto guarda Fedez. Il caso del rapper che Rai e Lega volevano indirizzare è fortemente simbolico e non può essere gestito nel solito modo: pro o contro una delle due parti. Perché c’è molto di più di un artista viziato – secondo i detrattori – e un servizio pubblico che ha già introiettato l’autocensura: ci sono, appunto, i diritti. In particolare due: il diritto a non essere picchiati o discriminati per le proprie preferenze sessuali, e la libertà d’espressione. Scusate se è poco.
E’ risaputo che recentemente Fedez e la moglie, due star dell’intrattenimento, hanno scelto di esprimersi pubblicamente a favore della difesa di diritti civili. Quanto sia convinzione e quanto convenienza è difficile da stabilire, ma non credo che in molti si siano fatti la stessa domanda per le prese di posizioni pubbliche di George Clooney.
Fedez in particolare si sta spendendo a favore dell’approvazione della legge Zan, quella che intende inserire una specifica aggravante nei reati d’odio quando colpiscono gay, lesbiche, trans e altri minoranze fragili. Secondo i conservatori, e anche per una frazione del movimento femminista, il testo della legge è sbagliato – in particolare nella sovrapposizione impropria tra identità di genere e sesso – ma nessuno può affermare che questa legge tolga diritti ad altri. Questo mi sembra il punto: tutta la storia dei diritti umani insegna che ogni nuova conquista non ha tolto nulla ad altri. E, ripulito dalle scorie delle polemiche social, questo è il fondamento degli interventi pubblici di Fedez e di altri artisti che in queste settimane si sono spesi a favore dell’approvazione della legge Zan.
Ma, come dicevamo, c’è il secondo problema: la libertà d’espressione. Senza peli sulla lingua Fedez diceva che in quanto artista può dire ciò che vuole sul palco e – sottinteso – se non ti va bene non m’ingaggi o, dopo la mia esibizione che non ti è piaciuta, non mi chiami più. La Rai invece si è fatta portavoce delle preoccupazioni – per essere più precisi dei pregiudizi interessati – della Lega, il partito che si è intestato la campagna contro la legge Zan. La telefonata che il rapper ha reso noto in cui dirigenti della Rai continuavano a ripetere che certi temi non potevano essere affrontati in quel “contesto” e che erano “inopportuni” è un concentrato di ciò che un servizio pubblico degno di questo nome non deve fare. Al di là delle responsabilità del singolo funzionario Rai, non è dignitoso chiedere a nessuno è di “adeguarsi al sistema” (parole testuali). Non regge la giustificazione che è sempre andata così. Proprio perché sembra un riflesso condizionato (e pavido) degli equilibri governativi, si rischia di censurare questo o quel pensiero scomodo alla maggioranza di turno, senza badare se si stanno limitando punti di vista o sanzionando offese. Basta citare Dario Fo, Daniele Luttazzi, Enzo Biagi… Il dibattito pubblico serve a far crescere conoscenza e pensiero critico, ingabbiarlo nel “politicamente comodo” è un attentato al diritto di informazione.
Danilo De Biasio