Il Festival dei Diritti Umani sta pubblicando in questi giorni un racconto fotografico su Haiti. Lo fa su Instagram, con un take over (affidando cioè temporalemte il proprio account) di Riccardo Venturi, in collaborazione con Picwant. per questo iniziamo a pubblicare alcune testimonianze su Haiti, da partte di Ong che lavorano direttamente sul campo. Oggi è la volta della Fondazione Rava, grazie a Vita che ci permette di ri-pubblicare il testo.
La testimonianza di Mariavittoria Rava, presidente di Fondazione Francesca Rava NPH – Italia Onlus, realtà presente ad Haiti da 30 anni. «Quel terremoto è stata una tragedia nella tragedia: 230mila morti; 300mila feriti e un milione di sfollati. Il Paese è poverissimo e tutti gli aiuti che erano stati promessi non sono mai arrivati»
tratto da Vita.it
Foto: Fondazione Rava
Alle cinque del pomeriggio del 12 gennaio 2010 a Port-au-Prince, capitale dello Stato caraibico di Haiti qualcuno stava tornando a casa. La maggior parte delle persone, invece, era già rientrata.
Ad Haiti non c’è l’elettricità quindi, appena il sole inizia a tramontare, le strade si svuotano. Perciò quando la prima scossa di terremoto di magnitudo 7.0 ha colpito la città ha fatto una strage: 230mila morti; 300mila feriti e un milione di sfollati. «Non lo si può immaginare senza averlo visto con i propri occhi», racconta Mariavittoria Rava, presidente di Fondazione Francesca Rava NPH – Italia. «Una montagna di cadaveri».
Tutto è venuto giù come fosse niente. La Fondazione Francesca Rava è presente ormai da 30 anni ad Haiti. Un luogo dove un bambino su due non va a scuola ed ogni ora di bambini ne muoiono due per malnutrizione o malattie curabili, il 70% delle persone non ha lavoro.
Dopo il terremoto, l’isola è stata colpita anche da 3 uragani (ottobre 2016 uragano Matthew) e dal colera che dal 2010 ad oggi ha causato oltre 9.500 vittime.
Ad Haiti non c’è l’elettricità quindi, appena il sole inizia a tramontare, le strade si svuotano. Perciò quando la prima scossa di terremoto di magnitudo 7.0 ha colpito la città ha fatto una strage: 230mila morti; 300mila feriti e un milione di sfollati. «Non lo si può immaginare senza averlo visto con i propri occhi», racconta Mariavittoria Rava, presidente di Fondazione Francesca Rava NPH – Italia. «Una montagna di cadaveri».
Tutto è venuto giù come fosse niente. La Fondazione Francesca Rava è presente ormai da 30 anni ad Haiti. Un luogo dove un bambino su due non va a scuola ed ogni ora di bambini ne muoiono due per malnutrizione o malattie curabili, il 70% delle persone non ha lavoro.
Dopo il terremoto, l’isola è stata colpita anche da 3 uragani (ottobre 2016 uragano Matthew) e dal colera che dal 2010 ad oggi ha causato oltre 9.500 vittime.
«Quella del terremoto è stata una tragedia nella tragedia», continua Mariavittoria Rava. «Quando pensiamo alla povertà il nostro pensiero va direttamente all’Africa. Ma anche Haiti è un Paese poverissimo. Un Paese del quarto mondo. E la maggior parte dell’opinione pubblica, prima di quel fatidico terremoto, non ne conosceva neanche l’esistenza. O, al massimo, la si classificava come “isola caraibica”, come “posto di vacanza”».
«Ad Haiti non mancava e non manca solo l’elettricità», dice Mariavittoria. «Qui le infrastrutture non esistono. Niente acqua potabile. Niente strade. Nessuna fognatura pubblica».Mariavittoria Rava quel 12 gennaio 2010 se lo ricorda bene. «Il giorno dopo eravamo già ad Haiti. L’aeroporto era chiuso. Quindi io con una delegazione di dieci medici ed alcuni giornalisti siamo arrivati a Port-au-Princevia via terra passando dalla Repubblica Domenicana».
Con loro anche un panettiere mantovano: «dovevamo preparare del cibo». Non c’era più neanche un filo d’acqua e gli haitiani hanno iniziato a scavare con le mani cercando di recuperare quella corpo. Sperando di arrivare in tempo per recuperarlo vivo.
«Ad Haiti non mancava e non manca solo l’elettricità», dice Mariavittoria. «Qui le infrastrutture non esistono. Niente acqua potabile. Niente strade. Nessuna fognatura pubblica».Mariavittoria Rava quel 12 gennaio 2010 se lo ricorda bene. «Il giorno dopo eravamo già ad Haiti. L’aeroporto era chiuso. Quindi io con una delegazione di dieci medici ed alcuni giornalisti siamo arrivati a Port-au-Princevia via terra passando dalla Repubblica Domenicana».
Con loro anche un panettiere mantovano: «dovevamo preparare del cibo». Non c’era più neanche un filo d’acqua e gli haitiani hanno iniziato a scavare con le mani cercando di recuperare quella corpo. Sperando di arrivare in tempo per recuperarlo vivo.
La Fondazione Francesca Rava ad Haiti con Padre Rick Frechette, medico in prima linea da 30 anni direttore di NPH Haiti ha costruito tre orfanotrofi e 32 scuole di strada, più un ospedale “Ospedale Pediatrico N.P.H. Saint Damien”.
Unico ospedale pediatrico di tutto il Paese ed unica struttura che non è crollata durante il terremoto: «L’ospedale è aperto da 30 anni. Ma nel 2006 ci siamo trasferiti in una nuova struttura progettata – a titolo gratuito – dall’ingegnere Alessandro Cecchinato. La struttura vecchia è crollata. Perciò diciamo che quella nuova è stata benedetta da Dio».
Unico ospedale pediatrico di tutto il Paese ed unica struttura che non è crollata durante il terremoto: «L’ospedale è aperto da 30 anni. Ma nel 2006 ci siamo trasferiti in una nuova struttura progettata – a titolo gratuito – dall’ingegnere Alessandro Cecchinato. La struttura vecchia è crollata. Perciò diciamo che quella nuova è stata benedetta da Dio».
L’ospedale è diventato così la “centrale operativa” di tutte le operazioni di soccorso. Nei dodici mesi successivi al terremoto ad Haiti insieme alla Fondazione Rava sono arrivati centinaia e centinaia di volontari. «I primi mesi si lavorava 24 ore su 24», spiega Mariavittoria.
«I medici si davano il turn over in sala operatoria. Tantissime persone durante la prima scossa, ma anche in quelle successive, sono rimaste ferite. In modo particolare hanno subito dei traumi agli arti che, non curati, si sono infettati, e i dottori per salvargli la vita sono stati costretti ad amputare. E ad Haiti è ancora più difficile sopravvivere senza gambe o braccia».
«I medici si davano il turn over in sala operatoria. Tantissime persone durante la prima scossa, ma anche in quelle successive, sono rimaste ferite. In modo particolare hanno subito dei traumi agli arti che, non curati, si sono infettati, e i dottori per salvargli la vita sono stati costretti ad amputare. E ad Haiti è ancora più difficile sopravvivere senza gambe o braccia».
Subito dopo il terremoto la Fondazione non ha aperto nessuna raccolta fondi: «ci ha stupito la generosità degli italiani. E anche di tante aziende che ci hanno supportato garantendoci i materiali per poter aiutare la popolazione. Medicine in modo particolare».
Tutto quello che la Fondazione ha fatto prima, durante ed anche dopo il terremoto, l’ha portato a termine senza il supporto di nessuna istituzione. «Ad Haiti non puoi contare sul governo; ma puoi contare sulla grandezza di queste persone che anche nella disperazione non hanno mai pianto su se stesse».
C’è un po’ di amarezza nel racconto di Mariavittoria. «Il terremoto è stato una catastrofe. Però poteva anche essere anche una grande “possibilità” per Haiti di trasformazione. Nei giorni immediatamente successivi al 12 gennaio 2010 sembrava che l’opinione pubblica si fosse mobilitata per sostenere il Paese. Non è arrivato nessuno dei fondi che erano stati promessi e la situazione, onestamente, non è cambiata molto cambiata».
Tutto quello che la Fondazione ha fatto prima, durante ed anche dopo il terremoto, l’ha portato a termine senza il supporto di nessuna istituzione. «Ad Haiti non puoi contare sul governo; ma puoi contare sulla grandezza di queste persone che anche nella disperazione non hanno mai pianto su se stesse».
C’è un po’ di amarezza nel racconto di Mariavittoria. «Il terremoto è stato una catastrofe. Però poteva anche essere anche una grande “possibilità” per Haiti di trasformazione. Nei giorni immediatamente successivi al 12 gennaio 2010 sembrava che l’opinione pubblica si fosse mobilitata per sostenere il Paese. Non è arrivato nessuno dei fondi che erano stati promessi e la situazione, onestamente, non è cambiata molto cambiata».
Anche se gli aiuti non sono arrivati dagli “altri” la Fondazione dopo aver affrontato l’emergenza post terremoto ha deciso di sviluppare ad Haiti non solo azioni di assistenza ma anche progetti che con il tempo potessero diventare autosostenibili. Due in particolare.
“Pani e pesci (e polli)” dove quattro panetterie fatte arrivare dall’Italia con un container attrezzato sono operative a Limonade, a Fond de Blanc, a Les Cayes, a Cité Soleil, e servono ciascuna a portare ogni giorno fino a mille panini per i bambini della comunità, lavoro e formazione professionale ai giovani.
“Pani e pesci (e polli)” dove quattro panetterie fatte arrivare dall’Italia con un container attrezzato sono operative a Limonade, a Fond de Blanc, a Les Cayes, a Cité Soleil, e servono ciascuna a portare ogni giorno fino a mille panini per i bambini della comunità, lavoro e formazione professionale ai giovani.
A Francisville città dei mestieri, centro di formazione produttivo e professionale per giovani, dove sono operativi pastificio, panificio, sartoria officina meccanica, laboratorio di burro d’arachidi, sono stati realizzati negli ultimi due anni un allevamento di pesci tilapia (96mila pesci all’anno) e di polli (4mila all’anno per un totale di 6mila uova al mese).
Di questi 2mila sono destinati ai bambini degli orfanotrofi, ai piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico e gli altri 2mila alle donne che li vendono nei locali mercati come forma di social business; un progetto di riforestazione e autoproduzione di frutta e verdura (realizzato grazie a Nespresso) ha permesso di piantare 14mila alberi di manghi, palme, moringa, realizzare un sistema di canali per il riciclo delle acque delle vasche dei tilapia, per fertilizzare ed irrigare il terreno che è diventato di nuovo verde, ombroso e fruttifero. E’, inoltre, appena partita anche la produzione di miele: ad oggi 22 alveari danno oltre 100 litro di miele l’anno.
Di questi 2mila sono destinati ai bambini degli orfanotrofi, ai piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico e gli altri 2mila alle donne che li vendono nei locali mercati come forma di social business; un progetto di riforestazione e autoproduzione di frutta e verdura (realizzato grazie a Nespresso) ha permesso di piantare 14mila alberi di manghi, palme, moringa, realizzare un sistema di canali per il riciclo delle acque delle vasche dei tilapia, per fertilizzare ed irrigare il terreno che è diventato di nuovo verde, ombroso e fruttifero. E’, inoltre, appena partita anche la produzione di miele: ad oggi 22 alveari danno oltre 100 litro di miele l’anno.
L’altro progetto, invece, riguarda nello specifico l’Ospedale NPH Saint Damien che assiste 80mila bambini l’anno ed è dotato di un reparto di Maternità e Neonatologia dove ogni anno 4mila mamme e bambini vengono salvati. L’ospedale ha 150 posti letto pediatrici, 4 sale operatorie, ambulatorio chirurgico, pronto soccorso, day hospital, reparto per il recupero dei bambini malnutriti. Inoltre è l’unico ad essere dotato di un reparto oncologico del Paese, radiologia digitale, clinica dentale, farmacia con laboratorio galenico, un padiglione per le vaccinazioni e il trattamento dell’HIV, un centro colera per 20mila pazienti l’anno.
In ospedale è partito un programma di formazione di chirurghi pediatrici haitiani che è volto ad assicurare assistenza e ad aumentare il numero dei bambini operati ogni anno. Passando così da 500 a 1500, grazie a chirurghi volontari italiani in collaborazione con la Società Italiana di Chirurgia Pediatrica. Su 10,5 milioni di abitanti infatti al momento esistono solo 3 chirurghi pediatrici di cui 2 già operano al Saint Damien.
In ospedale è partito un programma di formazione di chirurghi pediatrici haitiani che è volto ad assicurare assistenza e ad aumentare il numero dei bambini operati ogni anno. Passando così da 500 a 1500, grazie a chirurghi volontari italiani in collaborazione con la Società Italiana di Chirurgia Pediatrica. Su 10,5 milioni di abitanti infatti al momento esistono solo 3 chirurghi pediatrici di cui 2 già operano al Saint Damien.
La Fondazione Francesca Rava è anche impegnata nel terremoto del Centro Italia. «Abbiamo accumulato una certa esperienza in prima linea e sentiamo l’esigenza di rispondere ed essere presenti nel nostro Paese». In Italia la situazione per fortuna è molto diversa. «Qui le istituzioni lavorano bene. Abbiamo preso contatti con la protezione civile ed anche con il Miur».
«Per questo ci siamo impegnati nella costruzione di cinque scuole temporanee: una ad Arquata del Tronto, tre a Norcia ed una a Cascia». Investire quindi sull’educazione: «sì perché è la scuola che crea comunità. Ad Haiti ne abbiamo 32 che raccolgono 12mila bambini. Lì la scuola ha un valore ancore più forte: i bimbi mangiano; fanno i vaccini; priva a sopravvivere tra le difficoltà».
«Per questo ci siamo impegnati nella costruzione di cinque scuole temporanee: una ad Arquata del Tronto, tre a Norcia ed una a Cascia». Investire quindi sull’educazione: «sì perché è la scuola che crea comunità. Ad Haiti ne abbiamo 32 che raccolgono 12mila bambini. Lì la scuola ha un valore ancore più forte: i bimbi mangiano; fanno i vaccini; priva a sopravvivere tra le difficoltà».
Agli italiana terremotati la fondazione ha raccontato della forza degli haitiani. «L’unione fa la forza. Quello che voglio lanciare è un appello: sosteneteci e stateci vicino. Perché davvero con poco si può fare – insieme – la differenza e le persone se lo meritano. Venite con noi a toccare il dolore da una parte ma dall’altra capite come in mezzo a tante tragedie si va avanti lo stesso. Partecipiamo insieme ad un progetto di salvezza».
Mariavittoria è da poco stata ad Haiti: «Nel nostro ospedale, mentre ero lì, ho accolto una donna che aveva partorito per strada. Questi bambini meritano di più…».
Mariavittoria è da poco stata ad Haiti: «Nel nostro ospedale, mentre ero lì, ho accolto una donna che aveva partorito per strada. Questi bambini meritano di più…».