I diritti fatti a pezzi: Renzi in Arabia Saudita. 

La crisi di governo che sta squassando la politica italiana riguarda anche i fondi del Next Generation Ue, con i quali si potrebbe – se spesi bene – riequilibrare le disuguaglianze sociali ed economiche accresciute durante gli ultimi anni. In altre parole è una crisi di governo giustificata – in primis dal leader di Italia Viva – per il raggiungimento di diritti fondamentali delle persone.

E’ questa coincidenza temporale che rende le parole pronunciate da Matteo Renzi in Arabia Saudita di una gravità assoluta. Dire di invidiare il “costo del lavoro in Arabia Saudita” è come rallegrarsi per il prezzo del cotone raccolto dagli schiavi in Alabama nell’800; definire “un nuovo Rinascimento” quello saudita è come considerare il Colosseo un vecchio luna park dove si svolgevano innocenti svaghi; inchinarsi davanti al principe ereditario Mohammed bin Salman come “attore chiave nella politica internazionale” è chiudere volontariamente gli occhi di fronte alle tragedie del Vicino Oriente. 

In Arabia Saudita il costo del lavoro è basso perché vige un sistema feudale, dove i lavoratori stranieri sono pagati pochissimo, in molti casi il loro passaporto viene sequestrato da intermediari senza i quali non puoi entrare nel Paese.

Secondo il Sipri, l’Istituto di Ricerca Internazionale sulla Pace di Stoccolma l’Arabia Saudita da anni sta incrementando gli acquisti di armamenti: il 12% delle armi prodotte in tutto il mondo le compra Riad, che in parte le usa per le sue guerre – Yemen – in parte le rivende ad altri. Se n’è accorto anche il nuovo Presidente statunitense Biden che ha sospeso (dopo aver inondato l’Arabia Saudita di armamenti made in Usa) le esportazioni belliche. E il governo italiano ha deciso proprio in queste ore di bloccare la vendita di armi a Riad, armi poi utilizzate nel massacro yemenita.

La giustizia saudita è quella tipica delle dittature: il giornalista scomodo Jamal Ahmad Kashoggi è stato ucciso e fatto a pezzi nell’Ambasciata saudita in Turchia. E se è vero che sono calate le condanne a morte eseguite, non cambia significativamente la condizione delle donne: il caso simbolo è quello di Loujain al-Hathloul, reclusa perché ha guidato da sola l’automobile. 

Queste informazioni sono a disposizione di tutti, figuriamoci di un ex Presidente del Consiglio come Matteo Renzi. Senza alcuna ironia: l’ex Ministra Teresa Bellanova, un passato da sindacalista, potrebbe spiegare al leader del suo partito perché quella frase sul costo del lavoro in Arabia Saudita è un insulto. Ignorare cosa accade in quella nazione e prestarsi all’ignobile encomio del principe Mohammed bin Salman non è una gaffe è una deliberata volontà di Renzi. 

Racconta Roberto Toscano, l’Ambasciatore italiano che salvò centinaia di cileni dal regime di Pinochet, che doveva interloquire ogni giorno con i sadici torturatori del regime: doveva farlo, doveva trattare con quei farabutti se voleva ottenere il risultato: salvare vite umane. Si può parlare con i dittatori e i loro sgherri se serve per migliorare la situazione dei diritti umani. Stringere mani che grondano sangue e dare lezioni di diritto no. Anche perché, purtroppo, non è la prima volta che Matteo Renzi “grazia” il comportamento dei dittatori: parlando alla Commissione su Giulio Regeni lo scorso 24 novembre l’ex Presidente del Consiglio aveva detto che «la non collaborazione egiziana è un falso, la non sufficiente collaborazione egiziana è la realtà». Un esponente politico di rango non può non sapere che quella “non sufficiente collaborazione” è precisamente il motivo per cui la famiglia di Giulio Regeni non ha ottenuto né verità né giustizia.

Danilo De Biasio