Il Viminale scheda i magistrati scomodi. Così si supera un limite delicatissimo.

di Danilo De Biasio

Il Ministro dell’Interno ha già oltrepassato molti limiti, creando volutamente tensioni istituzionali e politiche, calcolando cinicamente il suo tornaconto elettorale, ma rivendicare la schedatura dei magistrati che emettono sentenze che non gli piacciono è un confine estremamente pericoloso. La notizia emerge dai ricorsi annunciati dal Viminale contro quelle sentenze che hanno bocciato le “zone rosse” nelle città. Oltre a spiegare che il Ministero dell’Interno farà ricorso, le “fonti” del Viminale argomentano che chi ha scritto quelle sentenze era di parte, cioè vicina alle associazioni che si battono per i diritti dei migranti. L’obiezione è davvero subdola, perché lascia intendere che i giudici non hanno agito in nome della legge, ma in nome di simpatie. Che è la peggior accusa che si può rivolgere ad una toga.

Ma c’è di più. Il Ministero dell’Interno elenca gli incontri pubblici in cui le due magistrate, Luciana Breggia e Matilde Betti, hanno partecipato, elencando i nomi degli altri speaker: avvocati, professori universitari, attivisti delle reti di solidarietà con i migranti. In democrazia questo comportamento ha un nome: schedatura. L’Italia ne sa qualcosa: settantasette magistrati erano schedati dal SID, il servizio segreto degli anni ‘70. Lo sappiamo perché durante una perquisizione a casa di uno dei capi del SID, il generale Giandelio Maletti, furono ritrovati i dossier. Tra i giudici sovversivi – sovversivi per un servizio segreto con simpatie di estrema destra com’era il SID  – si trovano toghe come Emilio Alessandrini, Gerardo D’Ambrosio, Giuseppe Di Lello. I primi due impegnati a combattere i depistaggi di stato nell’inchiesta su Piazza Fontana, il terzo nel pool antimafia di Falcone e Borsellino. Morale: di fronte alla strategia della tensione e i rapporti mafia/politica a certi ministri interessava non certo la verità, anzi volevano intralciarla. Esattamente come fa adesso Salvini.

Lo stesso Ministro dell’Interno che si fa fotografare con ultras spacciatori ma che, forte dei risultati elettorali, bypassa ogni remora etica. Evidentemente per Salvini partecipare ad un convegno dove si confrontano idee alla luce del sole equivale a intrattenersi con condannati. Un altro limite che non si deve superare per la tenuta democratica.