La rivista Africa ha scritto oggi un post per sottolineare che due suoi collaboratori, Enrico Casale e Raffaele Masto – che sarà ospite del Fesrival dei Diritti Umani il 4 maggio mattina – hanno ricevuto minacce per aver denunciato la situazione politica che vive l’Eritrea.
In queste occasioni lo strumento migliore è quello del sostegno e della vicinanza a chi svolge il proprio lavoro con perizia e senso etico del giornalismo.
Riportiamo qui sotto l’articolo di Africa.
“Il nostro sito e la nostra rivista si sono occupati tante volte dell’Eritrea. Hanno parlato della situazione politica, di quella economica, ma anche della culturalmente ricchissima società del piccolo Paese del Corno d’Africa. In questa sede, quindi, non vogliamo tornare su nessuno di questi aspetti. È nostra intenzione, invece, parlarvi di un risvolto meno conosciuto del Paese che riguarda chi ne scrive senza allinearsi alle direttive del regime di Isayas Afeworki. Non parliamo di giornalisti eritrei (non esistono più testate libere e indipendenti e nella classifica sulla libertà di stampa pubblicata ieri da Reporter senza frontiere, il Paese è, per l’ennesima volta, finito all’ultimo posto, dietro la Corea del Nord), ma di giornalisti italiani che lavorano e vivono in Italia.
Spesso capita che chi critica il regime venga insultato pesantemente e, a volte, anche minacciato. È accaduto a due nostri giornalisti nell’arco di meno di una settimana. Enrico Casale, mentre teneva un intervento a Bresso (Mi), è stato insultato per aver criticato il regime. Raffaele Masto, dopo avere rilasciato una serie di dichiarazioni in una trasmissione radiofonica sull’esodo degli eritrei e sui naufragi nel Mar Mediterraneo, ha ricevuto una telefonata con minacce. A intimidire e insultare non sono i rappresentanti ufficiali del Paese africano (anche se chi ha insultato Casale si è qualificato come impiegato del consolato eritreo di Milano), ma persone legate in diverso modo all’ambasciata e al consolato. Sono italiani che hanno interessi in Eritrea, oppure eritrei legati al regime. Le loro sono minacce subdole, fatte nascondendosi dietro una telefonata o nel corso di un dibattito (ma senza mai presentarsi con nome e cognome). Ripetiamo: tutto ciò avviene in Italia, non in Eritrea.
Di fronte a questi fatti ci chiediamo due cose. Primo: è mai possibile che minacce di questo tipo possano essere fatte in un Paese democratico come l’Italia in cui la libertà di espressione è garantita dalla Costituzione? Secondo: se questi individui si permettono di insultare italiani in Italia, che cosa mai faranno con i loro connazionali in Eritrea e in Italia?
Da parte nostra, vogliamo rassicurare chi ci sostiene e avvertire chi ci minaccia: continueremo a fare il nostro lavoro, denunciando soprusi e ingiustizie, senza farci intimidire. Per rispetto ai nostri lettori… E a sostegno del popolo eritreo a cui oggi è negata la libertà.”
In queste occasioni lo strumento migliore è quello del sostegno e della vicinanza a chi svolge il proprio lavoro con perizia e senso etico del giornalismo.
Riportiamo qui sotto l’articolo di Africa.
“Il nostro sito e la nostra rivista si sono occupati tante volte dell’Eritrea. Hanno parlato della situazione politica, di quella economica, ma anche della culturalmente ricchissima società del piccolo Paese del Corno d’Africa. In questa sede, quindi, non vogliamo tornare su nessuno di questi aspetti. È nostra intenzione, invece, parlarvi di un risvolto meno conosciuto del Paese che riguarda chi ne scrive senza allinearsi alle direttive del regime di Isayas Afeworki. Non parliamo di giornalisti eritrei (non esistono più testate libere e indipendenti e nella classifica sulla libertà di stampa pubblicata ieri da Reporter senza frontiere, il Paese è, per l’ennesima volta, finito all’ultimo posto, dietro la Corea del Nord), ma di giornalisti italiani che lavorano e vivono in Italia.
Spesso capita che chi critica il regime venga insultato pesantemente e, a volte, anche minacciato. È accaduto a due nostri giornalisti nell’arco di meno di una settimana. Enrico Casale, mentre teneva un intervento a Bresso (Mi), è stato insultato per aver criticato il regime. Raffaele Masto, dopo avere rilasciato una serie di dichiarazioni in una trasmissione radiofonica sull’esodo degli eritrei e sui naufragi nel Mar Mediterraneo, ha ricevuto una telefonata con minacce. A intimidire e insultare non sono i rappresentanti ufficiali del Paese africano (anche se chi ha insultato Casale si è qualificato come impiegato del consolato eritreo di Milano), ma persone legate in diverso modo all’ambasciata e al consolato. Sono italiani che hanno interessi in Eritrea, oppure eritrei legati al regime. Le loro sono minacce subdole, fatte nascondendosi dietro una telefonata o nel corso di un dibattito (ma senza mai presentarsi con nome e cognome). Ripetiamo: tutto ciò avviene in Italia, non in Eritrea.
Di fronte a questi fatti ci chiediamo due cose. Primo: è mai possibile che minacce di questo tipo possano essere fatte in un Paese democratico come l’Italia in cui la libertà di espressione è garantita dalla Costituzione? Secondo: se questi individui si permettono di insultare italiani in Italia, che cosa mai faranno con i loro connazionali in Eritrea e in Italia?
Da parte nostra, vogliamo rassicurare chi ci sostiene e avvertire chi ci minaccia: continueremo a fare il nostro lavoro, denunciando soprusi e ingiustizie, senza farci intimidire. Per rispetto ai nostri lettori… E a sostegno del popolo eritreo a cui oggi è negata la libertà.”