La storia di MC Abdul: 12 anni, rapper davanti alla macerie di Gaza City

Abdul Rahman al Shanti, in arte MC Abdul, ha 12 anni e vive a Gaza City. Da quanto ha 10 anni si è appassionato al free style grazie ai progetti portati avanti dai centri giovanili della Striscia. Uno di questi è l’Herak Youth Center che da anni è diventato un punto di riferimento per i ragazzi dell’area. Doposcuola, lezioni d’inglese, di musica, di canto rappresentano le attività principali del centro dove bambini e adolescenti trovano uno spazio tranquillo, lontano dalle angosce della guerra, dall’assedio e della povertà. Abdul è cresciuto con la musica nel centro Herak e ha iniziato a scrivere testi. Poi si è appassionato al rap e ha conosciuto i ragazzi del progetto Gaza Free Style, realizzato in collaborano con uno gruppo di ragazzi italiani che hanno ideato nel 2015 il Gaza Free Style Festival. Abdul ha imparato a usare le macerie di Gaza come un palcoscenico per portare a tutti il suo messaggio. Le sue canzoni raccontano ciò che vede, ciò che prova e sono dannatamente potenti, tanto che, una volta su Youtube, hanno fatto migliaia di visualizzazioni. Abdul continua a scrivere canzoni, perché per lui la musica è salvifica, è terapeutica, è l’unica cosa – ha raccontato il giovane rapper – che lo fa andare avanti. Proprio durante i giorni della guerra, in quelle lunghe ore di bombardamenti a tappeto su tutta Gaza, Abdul ha preso un foglio e una matita e col sottofondo del boato dei missili ha scritto di getto la sua ultima canzone. Ha usato come base “Cleaning Out My Closet” di Eminem, perché non c’era tempo per comporre anche la melodia, ma ha adattato perfettamente le parole. Il testo, di una semplice e potente crudezza, racconta l’occupazione e la disperazione dei bambini che temono di non avere futuro. Le parole, le immagini, il grido d’allarme trasformano Abdul, così come i ragazzini come lui, in fondamentali e importanti testimoni di quello che accade in Palestina.

Così ci ha scritto la giornalista Bianca Senatore per presentarci la storia di MC Abdu. Come Festival dei Diritti Umani ne aggiungiamo pochissime: la forza di un ragazzino che fa Hip-Hop davanti alla distruzione di Gaza non risiede tanto nelle sue rime o nel suo X factor, ma nella capacità di trasformare rabbia e senso di ingiustizia subita in espressione artistica. Nell’edizione 2019 del Festival dei Diritti Umani, intitolato “Pace e Guerre”, sostenevamo che l’assenza di combattimenti non è pace, è al massimo una tregua. Pace è quando al silenzio delle armi si aggiungono diritti uguali per tutti. Una condizione ancora molto lontana in tutto il Medio Oriente, in particolare in Palestina. Per questo motivo venerdì 18 giugno, al Circolo Magnolia di Milano, il Festival dei Diritti Umani ha organizzato una serata di autofinanziamento che si aprirà con il film di Farah Nabulsi “The Present. La serata continuerà con il concerto del duo DJ Gruff & Petrella. Le prevendite sono disponibili a questo link

 

Bianca Senatore (@BiancaSenatore1) ci ha anche tradotto il testo del brano del giovanissimo rapper di Gaza City MC Abdul:

La Palestina è stata occupata per decenni ma è stata la nostra casa per secoli.

Questa terra è ricordi per la mia famiglia da generazioni, per piantare crescere e nutrire il simbolo della pace.

Gli ulivi garantivano che la nostra gente potesse mangiare.

Vivere con limitazioni, spinti già dall’occupazione, vuoi vedere il dolore? Dai un’occhiata alle facce della gente.

Immagina di essere cacciato via dall’unica casa che tu abbia mai conosciuto, pregare per le nostre anime mentre saccheggiano le nostre case.

Non è facile raccontare tutto ciò con le parole, guardate la mia sorellina, è qualcosa che si merita?

Crescere in un mondo dove non viene trattata allo stesso modo, le è negato il diritto di vivere liberamente solo a causa della sua provenienza.

Vogliono occupare la mia terra ma non lascerò che occupino la mia mente. Resto ad occupare questa parte mentre scrivo della mia vita

Poiché la mia unica missione è far sì che la gente ascolti. Questo è per Gaza e per Sheikh Jarrah, sperando che possa fare la differenza.

Questa è la stessa cosa che è successa nel 1948, i miei nonni sono stati sfrattati e costretti a vivere in un campo profughi di Gaza.

E no, niente è cambiato, non possono più tornare perciò è proprio qui che sono oggi.

Ricevere chiamate dai cugini per sapere se sono ancora vivo, quelli non sono fuochi d’artificio che illuminano il cielo.

Cerchiamo solo di festeggiare l’Eid e mantenere la nostra fede, penso tu possa vedere che è così che si formano i ricordi.