Opporsi vuol dire anzitutto fronteggiare la parte che governa, arginandone il potere, segnandone nitidamente i limiti. In modo che per ognuno sia chiaro che la comunità in cui vive è una comunità democratica. Se si assottiglia lo spazio di gioco dell’opposizione, si riduce la democrazia. Il primo compito dell’opposizione è dunque quello di salvaguardare la dialettica interna. Il che oggi non è più così ovvio. I tentativi di restringere, o addirittura eliminare, quello spazio di gioco sono molteplici e diversificati.
di Donatella Di Cesare, tratto da/www.italianieuropei.it
Alcuni provengono da una concezione tecnocratica della politica, ridotta a governance, mera amministrazione, subordinata all’economia e votata al soluzionismo di stampo scientifico. La politica è chiamata a fare ordine seguendo le indicazioni degli esperti di marketing. Il suo compito diventa normativo. Quel che conta è l’ordine per l’ordine. Il mezzo diviene fine a se stesso. Il buon funzionamento è già un valore in sé, a prescindere da ogni contenuto specifico. Non importa che non ci siano giustizia, uguaglianza, solidarietà – importa, invece, l’amministrazione. Nessuno spazio può essere concesso al disordine, intendendo con questo tutto ciò che impedirebbe la razionalità economica.
Speculare, e non meno grave, è il pericolo che viene dal populismo, quella reazione apparentemente anti-tecnocratica, in grado di raccogliere malessere e frustrazione degli elettori esclusi dalla politica. Di qui peraltro il nome di antipolitica. I populisti aspirano a farsi portavoce del popolo, inteso come un tutto politicamente omogeneo ed eticamente puro, che vogliono difendere dagli avversari, o meglio, dai nemici. Ogni minoranza, per definizione, non può non essere vista ostilmente. Le tattiche saranno diverse. Ad esempio annunciare un provvedimento, per poi ritirarlo. Far dire a un esponente del governo il contrario di quel che sostiene un altro. In ogni caso il margine di gioco lasciato a chi si oppone, anche costruttivamente, sarà ridotto, se non azzerato. Perché il popolo, nella sua purezza, non può essere corrotto. Interloquire con gli “altri”, i “politici”, quelli che sono tutti corrotti, è a priori escluso. La democrazia potrebbe così rischiare di svanire improvvisamente.
Per quanto possa suonare allarmistico, compito dell’opposizione è quello di salvaguardare la democrazia. Il che è possibile solo rilanciando un nuovo concetto di politica che non cada nella trappola populistica né si limiti a essere governance. Dunque anzitutto una politica che guardi ai fini, parli di ideali, mobiliti in nome della speranza contro la paura, della solidarietà contro l’ineguaglianza. Sbagliato pensare che si tratti solo di parole. Lo scontro mediatico oggi insegna che le parole contano quanto, talvolta persino più, dei fatti.
L’opposizione deve ricominciare da qui, da una narrazione complessiva e articolata di quel che avviene non solo in Italia, ma nel mondo globalizzato. Occorre evitare quella chiusura in voga, che non è solo chiusura dei confini, ma anche delle menti, cioè incultura e disinformazione.
Così si spiega il ripiegamento su di sé e l’autocommiserazione che hanno spinto molti italiani a fidarsi di una combriccola di populisti. Una narrazione alternativa deve denunciare quei programmi antimodernistici, pieni di fantasiose trovate, che hanno portato gli ingenui a credere che sia possibile negare la globalizzazione, immunizzarsi dai suoi effetti. Si tratta quindi di incrinare ogni volta dal fondo le scorciatoie interpretative e le semplificazioni.
Il populismo non è fascismo. Molte sono le differenze. Il fascismo è apparato gerarchico, pedagogia totalitaria, militarismo, maschilismo, ricorso alla violenza. Tuttavia antipolitica e populismo possono creare le condizioni affinché il fascismo divenga dominante. Il Movimento 5 Stelle con la sua antipolitica – né di destra né di sinistra! – ha aperto le porte al fascismo mimetizzato della Lega. I nessi tra leghisti e grillini sono ormai evidenti: gli uni e gli altri sono antieuropeisti, sovranisti, nazionalisti. Insieme all’Europa, il loro nemico numero uno è l’“immigrazione clandestina”. Non è difficile immagi- nare che questi nemici saranno continuamente chiamati in causa per legittimare anche provvedimenti impopolari.
Si apre per la sinistra d’opposizione il grande interrogativo del sovranismo. Impossibile aggirare questo tema che divide non solo la sinistra italiana. Perché certo non è più lecito rilanciare, come se nulla fosse, parole quali “sicurezza”, “ordine”, “sovranità”. Occorre prima una riflessione critica. Rivendicare come risultato una drastica “diminuzione degli sbarchi” significa dare per scontata la prospettiva sovranista. La differenza dalla destra sarebbe allora solo quantitativa. Un più o un meno nella chiusura dei porti o nelle trattative europee. Prospettiva sovranista vuol dire difendere solo e unicamente i diritti dei propri cittadini all’interno dei confini statuali. Quel che avviene fuori, al di là della frontiera, non interessa. È anzi l’ambito da cui potenzialmente giunge l’ostilità. I diritti umani, che non sono argomento di anime belle, ma diritti concreti degli altri, vengono del tutto trascurati. Non è un caso che di recente filosofi marxisti, pensando al dispositivo economico dell’immigrazione, abbiano sollevato la questione politica costituita dalla frontiera della democrazia. Perché noi decidiamo per loro e la frontiera finisce per essere condizione non democratica della democrazia. Sovrani indiscussi, presunti comproprietari del territorio nazionale, i cittadini sono allora chiamati a selezionare, cioè ad ammettere o a respingere. Soprattutto sono legittimati a decidere con chi coabitare. Sarebbe questa l’autodeterminazione del popolo. Non stupisce che a sostenerla con forza sia il populismo sciovinista e anti-identitario, ispirato alla Nouvelle Droite francese. Per inciso si deve sottolineare che la cultura politica di destra è più avanzata di quella di sinistra, rimasta avvinghiata, in Italia, a nomi e concetti di decenni fa. Sennonché l’autodeterminazione del popolo può assumere, nello scenario della globalizzazione, contorni inquietanti, può significare l’equazione tra démos ed éthnos. Una democrazia su base etnica, salvaguardata dallo Stato-nazione. È l’obiettivo che persegue la sinistra? Quella sovranista certamente. Ma di questo tema, quasi tabuizzato, forse anche perché risveglia vecchi spettri, quello dello ius sanguinis e dello ius soli, pochi parlano.
Un’opposizione di sinistra deve essere anti-sovranista. Deve guardare oltre lo Stato riprendendo in chiave nuova l’internazionalismo, un termine anche questo desueto, perché basato pur sempre sulla nazione. Non si tratta di democratizzare il liberalismo, né tanto meno di battersi per un fatiscente cosmopolitismo. Ma il welfare non può essere limitato ai confini nazionali. Perciò occorre elaborare politiche dove i protagonisti siano nuovi poveri, precari, donne, migranti.
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