C’è un giudice a … Washington. E ovviamente non si chiama Donald Trump. Si chiama James Robart e ha stabilito che l’ordine esecutivo del presidente statunitense che bloccava l’ingresso di persone provenienti da 7 stati “musulmani” era sbagliato.
di Danilo De Biasio
Direttore del Festival dei Diritti Umani
“Nessun attentato compiuto negli Stati Uniti è stato causato da persone provenienti da queste nazioni”, ha scritto il giudice Robart, che poi ha aggiunto che le decisioni vanno prese sulla base di dati, non della fiction.
Nell’era del trionfo della post-verità è proprio una bella lezione. Siamo al lieto fine, dunque? No, perché Donald Trump ha iniziato a picconare i diritti e non si fermerà davanti ad una sentenza. Oggi colpendo nel mucchio chiunque viene dalla Siria o dalla Somalia, autorizzando gli stereotipi del musulmano terrorista, domani chissà.
Petizione per la libertà di pensiero: invitiamo ai festival gli artisti e i film discriminati dal bando Trump!https://t.co/SOD1qK8FNG pic.twitter.com/nlTFwvWsdD
— FestivalDirittiUmani (@FDUmilano) 1 febbraio 2017
Proprio per questo motivo la campagna che abbiamo lanciato per chiedere che i festival e le associazioni culturali invitino registi e artisti provenienti dai paesi banditi da Trump prende ancora più vigore.
In response to last week’s travel ban, we have installed works by artists from the nations denied entry to the US: https://t.co/yQSHZUualB
— Museum of Modern Art (@MuseumModernArt) 3 febbraio 2017
E siamo rinfrancati dal fatto che nientemeno che il Moma di New York ha lanciato una proposta simile. Ci aspettano quattro anni difficili, siamo solo all’inizio.