Oscar Alberto Martinez aveva ventisei anni. Sua figlia non ne aveva ancora compiuti due. Sono morti nel tentativo di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti. Di loro sappiamo un briciolo di biografia perché lo scatto di una giornalista, Julia Le Duc, li ha resi famosi. Degli altri morti per gli stenti o per violenza non sappiamo niente, non esistono neppure. Oscar e sua figlia scappavano dal Salvador: lì non c’è guerra classicamente intesa, ma provate a viverci voi. La violenza di strada è endemica, la disoccupazione da record, la dispersione scolastica la norma. Secondo la Radio Vaticana 300 salvadoregni al giorno fuggono verso gli Stati Uniti. Molti, come Oscar e sua figlia, non ci arriveranno mai.
A poche miglia da Lampedusa da giorni staziona la Sea Watch. A bordo ci sono 42 migranti che l’equipaggio della ong ha salvato quasi due settimane fa. Il Ministro dell’Interno non li vuole far sbarcare: “fosse per me starebbero lì fino a Natale”, ha detto Salvini. Di quelle 42 persone che fanno tanta paura alla terza potenza economica europea, non sappiamo quasi nulla. Sono numeri. 42 persone di fronte a 500 milioni di abitanti dell’Europa: lo 0,0000084%. Paradossalmente i 42 a bordo della Sea Watch sono fortunati: sappiamo che sono in vita, possono sperare di salvarsi. Degli altri morti nel deserto, nelle prigioni libiche o in mare potremo non sapere mai niente. Oscar Alberto Martinez e sua figlia, i 42 della Sea Watch: drammi speculari di due continenti, accomunati da una politica disumanizzante.
Per i salvati dalla ong da martedì sera si è chiuso un altro spiraglio: la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto il ricorso della ong e ha stabilito che l’Italia non ha nessun obbligo a farli sbarcare ma deve comunque garantire loro assistenza. Come se i magistrati chiedessero all’Anonima sequestri di trattar bene l’ostaggio. Quanto sta accadendo al largo di Lampedusa richiama precise responsabilità italiane ed europee, ma ci interroga anche sul limite a cui alcune forze politiche stanno spingendo la nostra umanità. Ne abbiamo parlato con Carlotta Sami, portavoce dell’UNHCR.