La voglia di sapere, la necessità di non voltarsi dall’altra parte. La lezione del Festival 2019

di Danilo De Biasio, foto Leonardo Brogioni

La faccia tesa, quasi impietrita. Inquieto si muove avanti e indietro sul palco. Non riesce a trattenere la rabbia e la pietà per quello che ha visto. “Non sono un attore, sono solo un operatore umanitario a cui piace disegnare”, dice Francesco Piobbichi sulla pedana in legno della Scuola Holden. E i suoi disegni esplodono davanti ai nostri occhi: un albero di succose arance che spunta dalla schiena di un bracciante “perché è con il suo sudore e sangue che possiamo comperare agrumi a 99 centesimi”; un ragazzo accucciato si copre gli occhi per scacciare i demoni “che lo hanno torturato in Libia”. Se guardi bene i ghirigori dei disegni di Piobbichi scopri che in realtà sono tanti fili spinati, metafora di come trattiamo i migranti, “perché dipende anche da noi, non si può rimanere indifferenti”.

Il Festival dei Diritti Umani ha appena tagliato il traguardo dell’ultima tappa: Torino. Prima alla scuola Arimondi-Eula di Savigliano, poi alla Scuola Holden e infine al Circolo dei lettori. “Guerre e pace” era l’argomento. Quei conflitti che riguardano un quinto almeno del pianeta, che arricchiscono pochi trafficanti e scaricano sui civili le sofferenze, che alimentano migrazioni che a loro volta vengono gestite per creare un esercito di sfruttati. Come raccontare in modo efficace questi temi, ci siamo domandati. La risposta è stata affidata nella prima giornata del festival ad un “disegnatore sociale” come Francesco Piobbichi, al fotografo Stefano Stranges e alla giornalista Federica Tourn, al presidente del sindacato dei giornalisti Beppe Giulietti, al portavoce di Articolo21 del Piemonte Gianmario Gillio, al cartografo Luigi Farrauto. E ancora al giornalismo narrativo di Chicco Elia, ai racconti multimediali di Mauro Berruto e al bellissimo graphic novel di Francesca Mannocchi e Gianluca Costantini. È lungo l’elenco, vero? Sì, ma ce n’era bisogno: siamo usciti da questo tour de force con la consapevolezza che c’è spazio e voglia di diffondere la conoscenza e combattere gli stereotipi.

Ovunque nel nostro Festival itinerante (Milano, Bologna, Firenze, Roma e, appunto, Torino) abbiamo trovato comunità che volevano sapere di più. La tappa torinese del Festival dei Diritti Umani si è conclusa con una discussione proprio sul ruolo dell’informazione: Anna Masera, Alberto Sinigaglia, Stefano Tallia, Gian Mario Gillio, Claudio Geymonat, Marco Giusta (quest’ultimo Assessore ai diritti del Comune di Torino) hanno ragionato al Circolo dei lettori su cosa occorre per ripulire dalle fake-news e dal linguaggio d’odio il linguaggio dei media. La risposta? Basti quella più diretta del presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Sinigaglia: “ho il massimo rispetto per le carte deontologiche, ma occorre anche tornare al buon senso, a fare le domande giuste, a essere consci della responsabilità del ruolo dei giornalisti”.

C’è stato infine spazio per esempi concreti, per buone pratiche: Paolo Naso, coordinatore di Mediterrean Hope, Daniela Sironi di Sant’Egidio hanno spiegato alla platea dei giornalisti la forza dei “corridoi umanitari”: una provocazione, hanno spiegato, perché i corridoi umanitari dimostrano che evitare i viaggi pericolosi dei migranti, una gestione intelligente e senza pesare sul fisco dell’integrazione è possibile. Lorenzo Trucco, uno dei fondatori dell’Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione ha ricordato però che c’è un numero enorme di persone che rimane ancora in balia di aguzzini, costretto in quella condizione dalle leggi contro gli immigrati dei precedenti governi. “Avevate promesso di cancellare i decreti Salvini”, abbiamo fatto presente a Anna Rossomando, Pd, vicepresidente del Senato. “Lo faremo”, ha promesso. E dopo quello che abbiamo raccontato al Festival dei Diritti Umani è il minimo che la politica possa dire.