Imprese e diritti umani: è il momento di agire

di Angelica Bonfanti, professoressa associata – Università Statale di Milano

 

Le imprese devono, come è ovvio, rispettare i diritti umani.

La nozione di “diritti umani” e il suo rilievo nel contesto delle attività di impresa appaiono tuttavia spesso difficili da interpretare, nonostante le indicazioni contenute negli strumenti giuridici di carattere internazionale – primi tra tutti i Principi Guida delle Nazioni Unite in materia di Business e Diritti Umani. Analogamente, appaiono non del tutto compresi o non opportunamente gestiti i potenziali effetti negativi delle attività di impresa sui diritti di soggetti diversi da soci, lavoratori o consumatori. Si pensi ad esempio agli impatti che alcune attività industriali esplicano sul godimento del diritto alla salute e all’ambiente salubre, alla vita, al cibo o all’acqua pulita da parte degli individui o delle comunità residenti nei pressi degli stabilimenti.

Il problema diviene tanto più complicato se le imprese e i gruppi societari hanno carattere transnazionale, ossia operano, a mezzo di società affiliate o partner contrattuali, sul territorio di stati diversi o in paesi con situazioni politiche e sociali critiche e standard bassi di rispetto dei diritti umani. Ciò non vale ad escludere, in ogni caso, che anche realtà a carattere nazionale non possano avere un impatto negativo sulla tutela dei diritti umani o determinarne violazioni, talvolta anche gravi.

Infine, come dimostrato dalla giurisprudenza sviluppata dai tribunali di alcuni Stati europei – in particolare quelli inglesi, tedeschi e olandesi- gli abusi posti in essere da imprese possono interessare molti settori, quali, solo per citarne alcuni, il tessile, il manifatturiero, l’estrattivo o il minerario. Tra i casi più recenti quelli che hanno coinvolto la Shell, con riferimento all’inquinamento e le conseguenti violazioni del diritto alla salute delle comunità stanziate nel Delta del Niger, violazioni  queste analoghe a quelle imputate alla Vedanta, impresa inglese,  per le sue attività estrattive in Zambia, o i casi che hanno visto protagonista la KiK, società tedesca, con riguardo all’incendio scoppiato negli stabilimenti dei partner coinvolti nella produzione tessile in Pakistan o gli altri marchi della moda, anche italiani, coinvolti nel crollo del Rana Plaza in Bangladesh. Tra i casi più rilevanti, naturalmente, anche quello dell’ex-Ilva per gli impatti gravissimi sul diritto alla salute, riconosciuti recentemente anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il rispetto dei diritti umani riguarda dunque anche le imprese italiane, anche se è difficile definire attraverso quali strumenti o processi esse debbano attenervisi o come un tale obiettivo possa essere più facilmente raggiunto. Tenuto conto che in seno alle Nazioni Unite si sta negoziando un trattato che, presto o tardi, stabilirà veri obblighi in materia e che l’Unione Europea, in vista di una futura normativa generale, ha già imposto in alcuni settori alle imprese obblighi di monitoraggio e prevenzione dei rischi di violazioni dei diritti umani, è pertanto necessario interrogarsi sulla direzione che l’Italia dovrebbe seguire. La riflessione è tanto più urgente se si pensa che dall’aprile 2020 gruppi di vittime potranno presentare davanti ai tribunali civili italiani azioni collettive per ottenere il risarcimento dei danni causati da abusi, istituto che potrebbe facilitare anche l’instaurazione contro le imprese di contenziosi oggi molto costosi e complessi e, al contempo, forieri di potenziali gravi danni reputazionali.

Al fine di richiamarne l’attenzione e ottenere una risposta pratica con riguardo alle precedenti riflessioni, quattro giuristi – Angelica Bonfanti (Università degli Studi di Milano), Marta Bordignon (Human Rights International Corner), Marco Fasciglione (CNR) e Chiara Macchi (Wageningen University and Research) – specializzati nello studio di questo tema, e co-direttori della Summer School on Business and Human Rights, hanno recentemente indirizzato alle istituzioni una Lettera Aperta in materia di ‘Impresa e Diritti Umani’ per chiedere che venga avviato un processo di normazione – analogo a quello realizzato in altri Stati, quali la Francia, i Paesi Bassi, il Regno Unito e la Germania – che conduca all’attuazione degli standard internazionali ed europei e all’istituzione di processi di Human Rights Due Diligence (cioè monitoraggio, prevenzione e gestione degli impatti sui diritti umani) a carico delle imprese. Riportiamo qui il testo della Lettera, sottoscritta da più di 50 accademici e professionisti, italiani e stranieri, tra cui anche dal Direttore di Festival dei Diritti Umani, Danilo De Biasio.

La lettera è anche disponibile al seguente link https://www.humanrightsic.com/news  ed è possibile diffonderla sui social media attraverso l’hashtag #openletterbizhumanrights