di Elisa Gianni
“Gli sforzi per combattere il virus non funzioneranno se non adottiamo un approccio olistico, che significa prendersi cura delle persone più vulnerabili e dimenticate dalla società, dal punto di vista medico e economico”. Così l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Michelle Bachelet commentava la diffusione del Covid-19 agli inizi dello scorso marzo, richiamando a tenere alta l’attenzione sui diritti umani, anche nel pieno della crisi. Tuttavia la pandemia e il lockdown non hanno arrestato le violazioni dei diritti fondamentali nel mondo, dalle minacce alla libertà di espressione ai diritti dei più piccoli.
L’International Press Institute ha contato più di 130 presunte violazioni della libertà di espressione, tra restrizioni all’accesso alle informazioni e censure. Sono stati circa 40 i giornalisti arrestati o multati per aver criticato le posizioni dei governi o per aver messo in dubbio l’accuratezza dei numeri di casi e di morti legate al Coronavirus.
La tecnologia connessa alla sorveglianza ha fatto dei balzi in avanti, nel suo utilizzo e nella sua accettazione. Nel mondo si è diffuso l’uso di droni, app di monitoraggio con dati sensibili, e riconoscimento facciale per gestire la pandemia.
In Italia come altrove è stato messo in dubbio il diritto alla salute dei lavoratori – negli ospedali ma anche nelle attività che hanno continuato senza mettere i propri lavoratori in sicurezza, nelle fabbriche che non hanno chiuso e nei campi. Per non parlare del diritto alla salute e alla vita di chi, altrove come da noi, è stato considerato “sacrificabile” perché anziano, malato o carcerato.
Per molte donne – che peraltro costituiscono la maggior parte del personale dedicato alla cura e quindi più a rischio di contagio – il lockdown con annessi telelavoro e chiusura delle scuole ha significato un aggravio del carico di lavoro a casa e un aumento del rischio legato alle violenze domestiche.
ll Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha richiamato l’attenzione sui diritti più a rischio in questo periodo, il diritto allo studio, quello allo svago e al tempo libero.
Al netto della possibilità dei singoli governi di sospendere parzialmente e momentaneamente – e sempre nel rispetto della legge – alcuni diritti fondamentali al fine di garantirne altri (tutti abbiamo subito un restringimento della nostra libertà personale di movimento al fine di tutelare la salute pubblica, ad esempio), dobbiamo riconoscere che se non teniamo alto lo sguardo in questo campo, il post Covid-19 rischia di portarci indietro di anni. La crisi economica globale che si affaccia all’orizzonte, rischia di colpire maggiormente le donne e le categorie più vulnerabili in termini opportunità, impiego e autonomia.
La condizione di eccezionalità che abbiamo vissuto negli ultimi mesi ha dato per scontato che tutt* avessero un tetto, che chi lavora e chi studia avesse una scrivania, dispositivi e una connessione Internet funzionante. Che tutt* potessero chiudersi in casa ed essere autonom* e sicur*. Ma questa condizione straordinaria ha aperto anche uno scorcio sulla normalità e l’ha illuminata di una luce nuova. Ora che cautamente torniamo alla quotidianità, ricordiamoci anche che quello che vivevamo prima dello scoppio della pandemia non era del tutto normale.
Non è normale il lavoro senza tutele, come non è normale dover scegliere tra lo stipendio e la propria salute. Non è normale la disparità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, tantomeno la violenza, verbale e fisica, dentro e fuori dalle case. Non è normale – specie per le/i giovani – sentirsi senza futuro o considerare la progettualità al pari di un lusso. È normale che nonostante il bar aperto, il negozio aperto, il museo aperto, c’è chi continuerà a stare fuori perché non c’è una rampa a permetterle/gli l’accesso? No.
La pace non è una parentesi tra le guerre, era lo slogan dell’edizione 2019 del Festival dei Diritti Umani. Ed era un modo per dire che se non ci sono diritti non c’è pace. Ecco, potremmo prendere in prestito questo slogan – da qui al “liberi tutti” del 3 giugno e oltre – per dirci e ricordarci che i diritti non sono una parentesi tra condizioni di eccezionalità e che il loro rispetto, questo sì, dovrebbe essere normale. Da qui riaprire, ripartire. Liber*. Tutt*.