Buona la prima…si continua. La prima giornata del Film Festival dei Diritti Umani di Lugano è andata bene: tante persone hanno accettato la sfida lanciata dagli organizzatori di esserci, di non limitarsi ad una visione online dei film, ma di partecipare, conoscere e, se è il caso, indignarsi. Il festival luganese ha scelto quest’anno di allargarsi: fino a domenica 18 ci saranno proiezioni anche a Locarno, Bellinzona e Mendrisio, proprio perché, date le misure anti-Covid, la capienza nei cinema è limitata. Per venire incontro alle esigenze degli spettatori, ma anche una precisa filosofia: «abbiamo assolutamente bisogno degli altri, delle persone, del dibattito, del confronto – ha spiegato Antonio Prata, il direttore del Festival di Lugano – e vale anche per i diritti umani: dobbiamo esserci, non possiamo soltanto collegarci a distanza, sperare che la tecnologia risolva i problemi».
La presenza dei corpi nelle battaglie per i diritti umani è ben presente anche nella selezione dei film. Sono corpi di ragazzi che sfidano le leggi liberticide della Cina quelli che si vedono in “We have boots” dedicato a Hong Kong; sono corpi “curvy” – diremmo oggi con un po’ di ipocrisia – quelli di “Fat front”; sono corpi atletici ma in gabbia quelli dei giovani di “One more jump”, film sulla pratica del parkour a Gaza; è un corpo fragile ma non ancora arreso quello di Jason DaSilva che racconta con la sua telecamera l’evolversi della SLA che l’ha colpito: proprio per il suo coraggio Un
Un altro filo rosso che unisce tutto il programma del Festival di Lugano è la difesa dei diritti umani ovunque vengano violati. E non è sempre scontato. Non aver paura di raccontare il sacrificio delle combattenti curde, ricordare il conflitto dimenticato del Sahara Occidentale e soprattutto inchiodare il governo cinese alle sue responsabilità nella distruzione fisica e culturale della minoranza uyghura: sarà a Lugano il leader del Congresso Mondiale (in esilio) degli Uyghuri, Dolkun Isa.
Per saperne di più: festivaldirittiumani.ch