Magistrati e politici vicini al collasso. I prossimi mesi ci diranno chi ha sbagliato e chi ha compiuto reati, ma è giustificato essere preoccupati. Le vicende parallele delle manovre politiche per decidere i vertici delle procure e i dossier minacciati dal Ministro dell’Interno contro i giudici non allineati rischiano di creare il cortocircuito tipico di questi tempi complottisti: sono tutti uguali. E la presunta colpevolezza di tutti è uno dei propellenti del populismo.
Non serve la laurea in giurisprudenza per capire che la separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo sono garanzie democratiche. Sarà pure un sistema largamente imperfetto, ma comunque meglio anche della più blanda delle dittature.
Negli ultimi giorni cosa sta succedendo? Sta succedendo che il Ministro dell’Interno ha annunciato di avere dossier sui magistrati che hanno bocciato alcuni suoi provvedimenti disumanizzanti. In particolare Salvini contesta la partecipazione di queste toghe a pubbliche riunioni, invitate da associazioni limpidamente schierate nella solidarietà ai migranti. Contemporaneamente è montata l’inchiesta sui traffici che alcuni esponenti politici – il più noto è Luca Lotti, molto vicino a Matteo Renzi – stavano organizzando per guidare le nomine nelle Procure dove erano in corso indagini sul loro conto. E come sempre avviene hanno trovato magistrati complici, che li hanno blanditi, e magistrati che hanno fatto il loro dovere, ovvero li hanno indagati. Delle intercettazioni colpisce, anche in questo caso, il ricorso al dossieraggio, quindi al ricatto o comunque al tentativo di mettere in cattiva luce gli avversari.
Due questioni – i dossier di Salvini e i dossier di una parte del mondo politico e della magistratura – con diversi gradi di pericolosità: sicuramente è più grave la minaccia del Ministro dell’Interno, perché ha la forza e i mezzi per produrne e veicolarli quanti ne vuole. Due questioni che potrebbero intrecciarsi per colpire la credibilità di un organo di garanzia come la magistratura. Ecco perché il Festival dei Diritti Umani segue questa vicenda: non c’interessa la carriera degli uni o degli altri; non è una baruffa personale ma uno scontro che potrebbe finire con altre picconate alla democrazia, facendo crescere la sfiducia nella capacità equilibratrice della magistratura, in questo periodo uno dei pochi baluardi allo smantellamento della democrazia.