Ricordare Giulio Regeni è necessario e utile. Così come per Patrick Zaki o per la sconosciuta vittima di soprusi in qualche angolo del mondo.
Necessario perché è un omaggio laico alle sofferenze subite da un essere umano che dava fastidio – chissà perché? – ad un potere.
Utile perché indica che quel potere non può sperare automaticamente nell’impunità.
Riuscire ad ottenere questi risultati non è facile né scontato. Non provarci è peggio: significa rinunciare ai propri diritti.
Giulio Regeni è stato torturato e ucciso da agenti della sicurezza egiziana, senza una ragione plausibile (non esistono ragioni plausibili per torturare ed uccidere un prigioniero). Il regime autoritario di al-Sisi si crede al di sopra delle leggi perché è uno stato incuneato nell’area strategica del Mediterraneo: gas, petrolio, manodopera a basso costo, traffici, alleanze con le varie lobby locali.
Ma ciò non basta a spiegare la ripugnante sottomissione dell’Italia ufficiale al governo egiziano: ok capirne l’importanza strategica ma perché vendergli pure navi ed elicotteri da guerra?
Ecco perché ricordare Giulio Regeni nel quinto anniversario del suo rapimento è necessario e utile.
Danilo De Biasio
Nella foto il quadro “Concetto spaziale/attesa” di Lucio Fontana