Salvatore Veca: un’idea di giustizia globale

Salvatore Veca era un filosofo gentile. Una voce flautata, quasi volesse dire “non voglio disturbare”. Non per questo le sue tesi erano annacquate. Al contrario contenevano sempre due richieste: studiamo la contemporaneità e proponiamo di cambiarla in meglio. Un esempio? Nell’intervista di Reset del 2019 Salvatore Veca diceva: «Un’idea di società giusta che superi la dittatura del presente in cui siamo immersi e sviluppi un’alternativa di lungo periodo in cui tutte le persone siano trattate da agenti e non da semplici pazienti morali. Non sto proponendo un progetto ideologico o una filosofia della storia, ma una prospettiva progressista che faccia propri ed elabori gli obiettivi ONU dello sviluppo sostenibile (lotta alla povertà e alle diseguaglianze, condizioni lavorative dignitose, tutela ambientale, parità di genere per ricordarne solo alcuni). Una società giusta non deve vedere il progresso come necessario ma come possibile e assicurare il pieno e sostenibile sviluppo di tutte le sue dimensioni (economica, sociale, ambientale)».

Il Festival dei Diritti Umani contava Salvatore Veca fra i suoi collaboratori. Ogni volta chiedevamo loro di sviluppare un pensiero su un tema, il filosofo era il primo a rispondere. Così fece anche nel 2016, quando il Festival muoveva i suoi primi passi. Ci mandò un breve testo sull’interpretazione moderna di “diritti umani”. L’abbiamo usato per una nostra riflessione interna, ma ora ci sembra più giusto metterla a disposizione di tutti: il nostro modo di rendere omaggio a un grande amico.

Nelle mie ricerche filosofiche sui diritti umani e l’idea di giustizia globale, ho proposto due test elementari per mettere alla prova i criteri della riforma sociale ispirata ai diritti delle persone e alla giustizia come equità. Il primo si chiama: equità e bambini. Ci si chieda quanto il destino delle persone sia dominato e definito dal posto, dalla famiglia, dal genere, dalla cultura in cui accade loro di nascere. Nessuno di noi, fino a prova contraria, sceglie di nascere. Ora, quanto più è probabile che il progetto di vita di una persona sia determinato dalla lotteria che le assegna un certo biglietto in partenza, tanto più una società tradisce la promessa dei diritti, la promessa dell’eguaglianza delle opportunità e, insieme, la promessa dell’eguale rispetto dovuto a chiunque. Del resto, società ingessate, in cui l’ascensore della mobilità è bloccato, non rievocano forse un qualche ancien régime, postmoderno quanto vi pare, in cui ceti e ordini e caste e corporazioni irreggimentano la sorte dei sudditi? Tutte le storie di diritti violati e di ingiustizia radicale cominciano con le storie di bambine e bambini, cui accade di avere una vita da vivere qua e là, nella gran città del genere umano.

Il secondo test si chiama: equità e donne. Ci si chieda semplicemente quale sia, in una società, la condizione femminile e quale siano la forza e l’efficacia della promessa dei diritti: la promessa dell’eguale rispetto, la promessa dell’eguaglianza delle opportunità, la promessa dell’inclusione, nel caso della differenza di genere. Una differenza che attraversa tutte le altre, di religione, di razza, di classe, di etnia, di cultura, di orientamento sessuale; una differenza che conta e che vale per tutti e per chiunque.

Ora, se ci si pensa su, è facile rendersi conto che i due test e, in particolare, l’indicatore dell’eguale o diseguale rispetto per i diritti delle donne, fissano uno dei pochi punti fermi per il giudizio e la critica sociale che abbiano carattere universalistico, che valgano qua e là, in giro per il mondo, nello stesso mondo, attraversato da persistenti disaccordi etici, politici e religiosi nei casi estremi, che condividiamo in mille modi diversi con miliardi di esseri umani. Così, i due test elementari valgono anche come promemoria per l’esame e la riflessione sullo stato dei diritti delle donne.

Con una clausola: che nella ricerca sui diritti e sulla giustizia si sia disposti, in primo luogo, all’ascolto e all’attenzione per le mille voci di donna che nel guazzabuglio dell’oppressione e dell’umiliazione chiedono, con forza esemplare e in contesti maledettamente difficili e cupi, diritti negati o diritti scippati o quei diritti fondamentali cui, semplicemente, hanno diritto.

Salvatore Veca

 

la foto è stata gentilmente concessa dalla Fondazione Balzan, di cui Salvatore Veca è stato Presidente del Comitato Generale Premi