Se questa è scienza: genetisti e razza durante il fascismo

Il 5 marzo di 80 anni fa usciva su “La difesa della razza” un articolo di Edoardo Zavattari, studioso di biologia tropicale, uno dei firmatari del cosiddetto Manifesto degli scienziati razzisti”. La sua era una risposta ad un diatriba cominciata nei mesi precedenti su purezza della razza e rischi del meticciato. Gli studi più recenti hanno chiarito che la via fascista al razzismo non può essere spiegata come l’adesione di Mussolini alle tesi naziste: era un adattamento al modo di pensare ben radicato da prima, anche nella (pseudo) scienza accademica.

Nei primi anni del ‘900, in tutto il mondo, la misura dei crani e indagini sociologiche raffazzonate sono servite a dare una parvenza di scientificità alla teoria di razze superiori e razze inferiori, all’ereditarietà di certi comportamenti, e la giustificazione a forme di eugenetica per liberarsi di “vite indegne di essere vissute”.

E se fa ribrezzo pensare che si potesse dare per scontato che il colore della pelle determinasse quella classifica, fa ancora più senso accorgersi che sono idee che circolano ancora, magari sostituendo la parola “ebreo” con la parola “migrante”.

Le citazioni sulle teorie antisemite di Edoardo Zavattari – e molto altro – le trovate su “Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia” scritto da Francesco Cassata.La prima edizione è uscita per Bollati e Boringhieri nel 2006. Qui riportiamo anche un altro stralcio del libro, utile a capire che va sfatato anche per gli scienziati il  mito degli “italiani brava gente”.