Diritti: le lezioni del coronavirus

Se rimanesse in circolo un milionesimo di quanto abbiamo provato in questi giorni di epidemia potrebbe cominciare un’età migliore per tutti. A partire dall’importanza dei diritti uguali per chiunque.

di Danilo De Biasio

Dovremo aver capito perché è fondamentale una sanità pubblica che cura ogni paziente allo stesso modo, sulla base della gravità della sua malattia, non del censo o del passaporto. Il diritto alla salute, come dice l’articolo 25 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo.

Dovremo aver capito che la solidarietà è un bene, non un peso: da quella che ci spinge ad offrirci per fare la spesa ai vicini di casa più anziani, al pagamento delle tasse, che devono servire a garantire il corretto funzionamento di uno stato. Solidarietà che deve essere commisurata alla propria ricchezza: regola che dovrebbe essere ancora più giustificata in un momento come questo.

Non guasterebbe un po’ di autocritica: perdoniamo le fughe notturne dalle “zone rosse” del coronavirus, ma guai a chi vuole lasciare le proprie case distrutte dai bombardamenti, dalle carestie, dal surriscaldamento del pianeta.

Il Festival dei Diritti Umani è nato proprio per questo scopo: mettere in risalto l’importanza riequilibratrice dei diritti uguali per tutti, perché sono le regole che sorreggono una società più giusta. Tanto più in un’emergenza come quella del coronavirus che rischia di rafforzare il morbo dell’individualismo.

E visto che parliamo di noi: avevamo già praticamente chiuso il programma della prossima edizione del Festival dei Diritti Umani; dedicata ai diritti delle persone con disabilità, doveva svolgersi in diverse location, dal 4 al 9 maggio. È nostra ferrea intenzione confermare l’appuntamento, ma ovviamente dovremo tener conto delle limitazioni imposte dalle autorità pubbliche.
Come rispettare le necessarie misure senza rinunciare al Festival? Lo diremo fra breve.

Ora è il tempo di sentirci insieme, uniti, solidali nell’unica scelta possibile: seguire le indicazioni. Ora è il tempo di riscoprire quella porzione di humanitas che fatica a farsi largo nell’era dell’egoismo. E verrà – speriamo presto – il tempo per ristabilire il contatto diretto con l’altro.