Studiare la povertà per sconfiggerla: la lezione del Nobel per l’economia 2019

Il Nobel per l’economia 2019 a Banerjee, Duflo e Kremer forse non è  il segnale di un cambio di paradigma globale – l’attenzione verso le insopportabili disuguaglianze – ma è destinato comunque a pesare: i tre economisti premiati hanno concentrato i loro studi sulle cause della povertà, dando sostanza scientifica alle ricette che potrebbero permettere di combatterla. Riuscire a sconfiggerla è una questione di volontà. Il Festival dei Diritti Umani ha chiesto a due giovani economiste, Valentina Rotondi e Mariapia Mendola di spiegare perché questo Nobel è così significativo.


Un premio contro la povertà globale.

di Valentina Rotondi ricercatrice post-doc presso il dipartimento di sociologia dell’Università di Oxford e presso la Fondazione Roberto Franceschi. 

Saremmo tentati di pensare che si tratti del Nobel per la pace ma non è così. Quest’anno il Nobel per la “scienza triste”, l’economia, ha premiato il lavoro di tre relativamente giovani studiosi (Michael Kremer di Harvard, Abhijit V. Banerjee, e Esther Duflo del MIT) che hanno imposto un metodo, il metodo scientifico, allo studio delle dinamiche di povertà. I tre economisti in 20 anni ci hanno permesso di capire quali investimenti abbiano avuto un impatto maggiore nel migliorare le vite dei poveri ponendosi, di volta in volta, domande molto precise e dando risposte puntuali e rigorose.

Prendiamo un esempio. Nel mondo l’istruzione non è ancora diffusa come dovrebbe. Nonostante negli ultimi anni il numero di bambini iscritti alla scuola primaria sia aumentato, milioni di bambini non frequentano le scuole e la qualità dell’istruzione che ricevono è spesso molto bassa nonostante i milioni di dollari spesi in progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo. Banerjee e Duflo hanno mostrato che in India, dove l’assenteismo degli insegnanti è spesso una delle cause del basso livello di istruzione degli alunni, migliorare la qualità dell’insegnamento è possibile assumendo gli insegnanti con contratti a tempo determinato che saranno estesi solo al raggiungimento di determinati obiettivi. In Kenya, invece, dove il livello di scolarità è bassissimo e la povertà una piaga, Kremer e colleghi hanno mostrato come diffondere dei semplici rimedi contro i parassiti intestinali (un problema di salute estremamente rilevante e diffuso tra i bambini nei paesi in via di sviluppo) migliori la partecipazione scolastica non solo dei bambini malati ma anche dei bambini sani. Per avere un’idea della grandezza dell’effetto basti pensare che un bambino che riceve il trattamento contro i parassiti intestinali frequenta in media 28 giorni di scuola in più in un anno scolastico rispetto ad un bambino che non riceve il trattamento.

Al di la del contributo metodologico, Kremer, Banerjee e Duflo hanno un merito, a mio avviso, ancora più grande. Hanno sempre ricordato che non esiste una non-razionalità nella povertà. Non è vero che i poveri siano meno razionali, meno calcolatori, meno abili dei ricchi. E non è vero che i poveri debbano sempre imparare dai ricchi. Nel loro libro, Banerjee e Duflo, mostrano, ad esempio, che per disegnare politiche efficaci di lotta alla povertà i primi da ascoltare sono loro: i poveri e i loro bisogni. E per questo insegnamento, molto più ampio dei risultati di qualsiasi esperimento controllato, non basterebbe nemmeno il premio Nobel.


Un approccio innovativo allo studio della povertà. 

di Maria Mendola, professore associato di economia politica presso università di Milano Bicocca. Il suo campo di ricerca è l’ economia dello sviluppo, le migrazioni internazionali e la povertà.

Il premio Nobel all’economia è stato assegnato a Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer, tre economisti dello sviluppo che studiano le economie a basso reddito e i meccanismi che possono contribuire a alleviare la povertà globale.

Questo è un riconoscimento non solo ai tre illustri economisti che insegnano a Boston (Banerjee e Duflo a MIT, Michael Kremer a Harvard) ma anche ad un intero filone di ricerca in economia politica, come ha prontamente ricordato lo stesso Banerjee commentando che ‘loro tre rappresentano un movimento di centinaia di ricercatori che cercano di fornire soluzione per combattere la povertà’.

Banerjee, Duflo e Kremer negli anni ’90 hanno ‘rivoluzionato’ il modo di studiare le economie in via di sviluppo introducendo il metodo degli esperimenti controllati e randomizzati (ovvero quello usato per testare nuovi farmaci o altri interventi in medicina) per ottenere risposte affidabili sui modi migliori per combattere la povertà.

Il loro maggiore contributo tuttavia non sta solo nel metodo a mio parere ma nell’approccio, in quanto hanno messo i poveri al centro dell’analisi, cercando di capire le scelte di consumo e di investimento di persone che hanno poche risorse, attraverso analisi empiriche condotte sul campo (molte in collaborazione con ONG locali) in numerosi paesi in Africa e Asia. Ciò è in netto contrasto con la visione paternalistica che la povertà va gestita con aiuti allo sviluppo e con programmi umanitari. I tre Premi Nobel hanno mostrato con le loro analisi perché gli aiuti calati dall’alto possono risultare inefficaci, testando con metodo scientifico centinaia di programmi e politiche pubbliche e mostrando cosa funziona e cosa no (e perché) nella lotta alla povertà.

Banerjee, Duflo e Kremer hanno mostrato in centinaia di lavori scientifici perché i poveri in diversi paesi del mondo non mandano i figli i scuola anche se è gratuita, perché non adottano piccole tecnologie a basso costo per evitare gravi malattie, perché non usano fertilizzante che gli viene donato e che aumenterebbero il loro raccolto. E ancora hanno mostrato perché se anche i bambini vanno a scuola non imparano, o perché avere donne in ruoli di leadership può contribuire allo sviluppo economico o come per risparmiare soldi e salvare vite umane sia necessario investire in modo più mirato la ricerca e sviluppo (R&D) sulla prevenzione e sulla vaccinazione.

Come riconosciuto dagli stessi neo premiati, i loro studi non permettono di eliminare la povertà globale ancora legata agli squilibri (locali e globali) dei mercati, ma forniscono un contributo alla sua riduzione evidenziando l’importanza di disegnare politiche pubbliche corrette ed appropriate sulla base di analisi scientificamente rigorose. In tempi in cui la scienza e la ricerca fanno fatica a farsi riconoscere a livello politico, mentre le misure di politica economica hanno un impatto significativo sulle persone, questo riconoscimento è un segnale di speranza.

Grazie alla Fondazione Franceschi per la collaborazione.