Un anno in carcere per Patrick Zaki. 365 giorni di università, di impegno per i diritti umani, di vita vera buttati via. Un anno in carcere per Patrick Zaki. 8760 ore passate in una cella sovraffollata, con il rischio di ammalarsi di COVID. Un anno in carcere per Patrick Zaki. 525.600 minuti di pensieri, azioni, sentimenti imprigionati. L’ultimo anno di questo giovane studente egiziano è passato così: una condanna ingiusta fornita con la sadica ripetizione dell’allungamento della detenzione 45 giorni a volta.
Liliana Segre nei suoi incontri pubblici ripete sempre una frase: “sono stata condannata al campo di sterminio per la sola colpa di essere nata”. Con le debite differenze, nel caso di Patrick Zaki ci troviamo di fronte ad una persona sbattuta nelle prigioni del regime di al-Sisi per la sola colpa di pensare. In una democrazia “normale” scrivere che i diritti umani sono violati dal proprio governo non è un reato; nell’Egitto di al-Sisi è addirittura una condanna. A conferma che quella egiziana è una democrazia di facciata.
Perché il caso di Zaki non si risolve? Chi conosce bene l’Egitto fornisce una risposta solo apparentemente semplice: perché lo studente iscritto a Bologna è solo uno dei tanti prigionieri di coscienza finiti nell’inferno delle carceri egiziane. Uno dei tanti. Dei troppi.
In compenso l’Italia potrebbe fare di più? Certo. L’associazionismo sta facendo moltissimo, con una passione e impegno politico encomiabili: le sagome di Patrick Zaki – tutte disegnate da Gianluca Costantini – sono diventate una presenza fissa nelle università e negli studi televisivi, la sua faccia paffuta e sorridente è disegnata sui muri e perfino sull’aquilone che abbiamo fatto volare nei cieli italiani. Ma mancano la politica, la diplomazia, le istituzioni. Provate a immaginare se oltre ad una petizione, ad articoli di giornale arrivasse un chiaro segnale della Farnesina: non vendiamo armi a chi reprime il pensiero, a chi uccide i connazionali (il caso di Giulio Regeni) e boicotta le indagini. Purtroppo i tempi e gli interessi della politica sono altri: navi e armi da guerra italiane continuano ad essere vendute all’Egitto, depotenziando nei fatti ogni forma di pressione per avere giustizia.
L’iniziativa “Free Patrick Zaki: prisoner of conscience” che prevede di disegnare dei poster per chiedere la liberazione dello studente egiziano è un ulteriore, bellissima, prova di come la società civile sa mobilitarsi per i diritti umani. Sabato 6 febbraio verranno svelati i 10 manifesti vincitori. Li troverete sul nostro sito, così come potrete seguire, dalle 11, la conferenza stampa dei promotori: Amnesty International Italia, Conversazioni sul futuro, l’Associazione Diffondiamo idee di valore, con collaborazione di Articolo 21 e del Festival dei Diritti Umani.