Imprese e diritti umani/2. Fabrizio Petri: un cambio di paradigma

Prosegue il dibattito che abbiamo inaugurato con la riflessione di Angelica Bonfanti. Questa volta a scrivere è Fabrizio Petri, Ministro Plenipotenziario alla Farnesina e Presidente del CIDU – Comitato Interministeriale per i Diritti Umani

 

In occasione delle celebrazioni della Giornata Mondiale dei Diritti Umani, a distanza di oltre 70 anni dall’adozione della Dichiarazione Universale che ha sancito l’importanza fondamentale della loro tutela, è importante, di fronte alle oggettive difficoltà del contesto mondiale ed all’emergere costante di nuove sfide, ricordare in questo momento anche i progressi che nel corso dei decenni successivi alla Dichiarazione Universale sono stati effettivamente compiuti, con la firma di fondamentali Trattati quali quello sui Diritti Civili e Politici o quello sull’Infanzia, solo per citare alcuni fra i più famosi.

Se, parimenti, si deve guardare con favore alla creazione da parte del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite del meccanismo di Revisione Periodica Universale, arrivato ora al Terzo Ciclo, e se la stessa Agenda 2030, avendo per la prima volta messo assieme i tre Pilastri delle Nazioni Unite, ovvero Pace e Sicurezza, Sviluppo Socio-Economico e Diritti Umani, prefigura la possibilità di un futuro salto di qualità, occorre tuttavia costantemente ripetersi che quella dei Diritti Umani è una strada sempre impervia, non solo perché è un “work in progress” per definizione, ma anche perché i contesti che ne determinano la salvaguardia sono in costante evoluzione.

Infatti alla luce delle trasformazioni avvenute nell’ordine geo-politico internazionale e nei rapporti Società-Stato nazionale, dovute alle spinte della globalizzazione e all’emergere della società dell’informazione e delle straordinarie innovazioni tecnologiche digitali, la fisionomia della comunità internazionale si è già ampiamente trasfigurata, imponendo anche un profondo cambiamento culturale, nonché naturalmente nuove e complesse sfide ai Diritti Umani.

In un contesto così complesso e dinamico, pieno di sfide difficili ed in costante evoluzione, appare quanto mai utile poter disporre di spazi di dibattito e approfondimento come il Festival dei Diritti Umani di Milano. Esso rappresenta non solo uno strumento per una loro maggiore comprensione ma anche un indice dell’importanza che il tema dell’attuazione dei Diritti Umani stessi sta assumendo nel nostro Paese.

D’altra parte, l’istituzione che presiedo, il Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU), opera nella medesima direzione, cercando innanzitutto con le sue attività e con la sua apertura verso la società civile di rimanere sempre in contatto con le nuove istanze ed esigenze in tema di Diritti Umani. Nello stesso tempo, nella sua qualità di meccanismo di raccordo per l’attuazione degli impegni internazionali assunti dall’Italia in tema di Diritti Umani, il CIDU opera affinché vi sia la dovuta attenzione da parte delle competenti istanze istituzionali per una loro effettiva traduzione nel nostro ordinamento.

È certamente anche per questo che, nella Revisione Periodica Universale delle Nazioni Unite, il CIDU è stato recentemente riconosciuto come un esempio virtuoso di ‘National Mechanism for Reporting and Follow-Up’, ossia una ‘best practice’ da poter replicare auspicabilmente anche in altri Paesi. Un riconoscimento significativo, quindi, non soltanto per il suo valore di apprezzamento per il nostro operato, in oltre 40 anni di attività, ma anche e soprattutto per il suo rilievo di incoraggiamento al percorso di affermazione dei principi della ‘Rule of Law’.

Notoriamente, il nostro Paese è sempre stato un sostenitore di questi principi, di pari passo con il nostro sostegno a tutte le principali Convenzioni intese a promuovere e tutelare i Diritti Umani, e siamo stati non a caso anche fra i Paesi che più hanno sostenuto l’inclusione nell’Agenda 2030 dell’Obiettivo 16, incentrato proprio sulla “Rule of Law”. In questa linea d’azione rientrano anche gli sforzi del CIDU il cui compito di istituto, come si diceva, è in primis il raccordo fra gli obblighi internazionali e la loro implementazione nazionale.

In quest’ambito, mi preme ricordare come il nostro Paese non abbia affatto trascurato il fondamentale nesso fra l’attività Economica ed il rispetto dei Diritti Umani, guardando con sempre maggiore attenzione al ruolo che le imprese possono e devono essere chiamate a giocare in questa sfera. D’altra parte, sul sempre più importante tema ‘Business and Human Rights’ (BHR) sono state infatti adottate, sin dal 2011, delle Linee Guida da parte delle Nazioni Unite e si è nel corso del tempo sviluppato un proficuo confronto tra istituzioni governative, società civile e mondo imprenditoriale, soprattutto alimentato dall’annuale UN Forum on Business and Human Rights (BHR) di Ginevra.

In tale contesto, è importante ricordare come l’Italia sia stata uno dei primi Paesi dell’ONU a dotarsi di un Piano d’Azione Nazionale (PAN) in materia nel 2016 e, solo due anni dopo, è riuscita a classificarsi come il primo Stato-Membro a concludere un suo relativo processo di revisione (Mid-Term Review) nel 2018.

Il medesimo Piano d’Azione Nazionale su Impresa e Diritti Umani ha istituito un apposito Gruppo di Lavoro, che opera in costante consultazione con esperti del settore e diversi rappresentanti del mondo imprenditoriale, dei sindacati, delle organizzazioni non governative e di altre compagini della società civile. Nello specifico, il Piano Italiano si contraddistingue per una particolare attenzione rivolta alle categorie più vulnerabili in diversi contesti economici e produttivi, con particolare riferimento alle minoranze, alle donne, ai minori, alle persone con disabilità e alle persone LGBTI. Altro punto qualificante è il Lavoro Dignitoso, in ossequio all’Obiettivo 8 dell’Agenda 2030, laddove il Piano infatti include anche le nuove misure intese a contrastare il caporalato e altre forme di sfruttamento dei lavoratori.

Al riguardo va osservato con particolare interesse come lo strumento dei Piani d’Azione Nazionali su Impresa e Diritti Umani stia diventando di carattere davvero globale. Se infatti nel 2016 vi erano solo nove Paesi, Italia inclusa, a disporre di un simile strumento, oggi abbiamo già superato il numero di venti. Inoltre il fatto che anche Stati dell’Asia (la Thailandia) e dell’Africa (il Kenya) abbiamo cominciato a dotarsene sta cominciando a rendere davvero universale questo percorso. Il Forum ONU BHR di quest’anno, appena conclusosi a Ginevra, ha testimoniato questo salto di qualità. Vi è un diffuso auspicio di poter rafforzare una prospettiva globale sui sistemi di tutela e di promozione dei Diritti Umani in questo campo, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030, e creare un reale ed efficace ‘level playing field’.

È fondamentale pertanto che l’argomento sia oggetto di ulteriori consultazioni e approfondimenti e, in qualità di Presidente del CIDU, sono lieto di percepire il crescente interesse sul tema, come testimonia l’ampio ed inclusivo dibattito che anche il Sito del Festival dei Diritti Umani non manca di registrare. D’altra parte, nel mio stesso intervento al Festival dei Diritti Umani del maggio di corrente anno, ho avuto modo di mettere in rilevo questi aspetti, alla luce del cambio di paradigma in atto sul tema dei rapporti tra Economia e Diritti Umani.

Non posso che ribadire, pertanto, il mio convincimento che la piattaforma del Festival dei Diritti Umani stia già offrendo un prezioso contributo alla nostra riflessione sull’argomento, creando degli utili canali di dialogo e di confronto sui diversi aspetti che riguardano anche il tema ‘Business and Human Rights’ (BHR), e sempre mantenendo al cuore la centralità delle persone.