di Christian Elia
Q Code Mag
La storia, prima o poi, presenta il conto. A volte è solo morale, altre economico, altre volte ancora è l’uno e l’altro. E noi cittadini italiani, un giorno, avremo la maturità civile per ringraziare Abu Omar. Perché la <a href=”http://www.repubblica.it/politica/2016/02/23/news/abu_omar_italia_condannata_da_corte_di_strasburgo_ecco_la_sentenza-134046101/?ref=HREC1-1″ target=”_blank”>sentenza</a> con la quale la Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo ha condannato ieri, 23 febbraio 2016, lo stato italiano ci parla di noi.
Racconta di un periodo storico particolare, quello seguito agli attentati a New York del 2001. Una strage lacerante, la violenza che arriva in casa, dopo aver girato alla larga per decenni. La reazione fu scomposta, ma comprensibile, rispetto a un’opinione pubblica smarrita e impaurita.
Le scelte che invece arrivarono dalle istituzioni, Stati Uniti in primis, oggi si palesano in tutto il loro fallimento e la loro gravità. Una compressione delle libertà individuali e dei diritti umani e civili senza precedenti. Non furono poche le voci che si sollevarono per dire che no, non si poteva, non si doveva. Ma accadde. E oggi la storia ci presenta il conto. Anche all’Italia.
L’egiziano Hassan Mustafa Osama Nasr, conosciuto come Abu Omar, nel 2003, era l’imam del centro di cultura islamica di via Quaranta, a Milano. Il 17 febbraio 2003 esce di casa per recarsi al centro. Dove non arriva mai. I frequentatori del centro, la sua famiglia, i suoi amici non sanno nulla di quello che potrebbe essergli capitato.
E’ stato rapito da una squadra di agenti della Cia statunitense, con l’aiuto di agenti dei servizi segreti italiani. E’ stato buttato dentro un furgoncino e portato in Germania, da dove – con un volo segreto – è stato portato in Egitto. Consegnato ai servizi di sicurezza del regime di Hosni Mubarak, all’epoca presidente egiziano, e torturato senza pietà.
La sua colpa? Sostenere con veemenza le sue idee, farlo nella sua comunità, denunciare quel che accadeva in Afghanistan e in Iraq come aggressioni alla religione islamica nel mondo.
negli anni passati alla storia come quelli della ‘guerra al terrorismo’, dal 2001 in poi, questo bastava per essere condannati alla notte dell’umanità.
Perché nessuno di quelli che oggi come allora si arrampica sugli specchi delle idee di Abu Omar, che potevano essere le peggiori del mondo, come lo potevano essere le sue intenzioni, ha capito la cosa fondamentale: si combatte con il diritto, senza perdere l’umanità.
Nessuno sostiene che, a fronte di un mandato di cattura di un giudice, nel rispetto dei diritti della <a href=”http://www.qcodemag.it/2015/07/13/il-caso-abu-omar/” target=”_blank”>difesa</a>, Abu Omar non potesse essere fermato, interrogato, processato. Ma è stato questo abdicare al senso stesso dello stato di diritto in nome del quale quel rapimento veniva commesso che ci rende complici. E da ieri anche colpevoli.
Lo dovremo risarcire, rossi di vergogna, perché tutti i governi che si sono alternati al potere dal 2003 hanno posto il segreto di Stato sulla vicenda, per proteggere gli alleati Usa, per proteggere gli agenti: il potere che difende se stesso.
I rapimenti come quello di Abu Omar furono decine, le chiamavano ‘extraordinary renditions’. Oggi la Corte dice che “le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di ‘extraordinary rendition’ cominciata con il suo rapimento e continuata con il suo trasferimento all’estero”. L’Italia viene condannata perché “ha violato il diritto di Abu Omar a non essere sottoposto a tortura e maltrattamenti”.
E la Corte rincara la dose, sostenendo nella sua sentenza che “nonostante gli sforzi degli inquirenti e giudici italiani, che hanno identificato le persone responsabili e assicurato la loro condanna, questa è rimasta lettera morta a causa del comportamento dell’esecutivo”.
Dal 2001 a oggi c’è stato <a href=”http://www.glistatigenerali.com/intelligence_terrorismo/la-francia-che-ha-arginato-la-le-pen-sta-progettando-a-una-nuova-guantanamo/” target=”_blank”>Guantanamo</a>, un fallimento tremendo, con centinaia di vite distrutte. Oggi il presidente Obama ha chiesto al Congresso Usa di chiuderlo e saranno in tanti a chiedere giustizia. E lo stesso accadrà con le nuove foto delle prigioni di <a href=”http://www.qcodemag.it/2016/02/09/foto-torture-guantanamo/” target=”_blank”>Abu Ghraib</a>, in Iraq, gestite all’epoca dell’invasione dall’esercito Usa. Una nuova era può iniziare dall’ammettere che la democrazia, come amiamo chiamare il nostro stile di vita, si è sporcata le mani di sangue in questi anni.
Ecco, noi oggi ad Abu Omar, che ha avuto la vita distrutta da questa vicenda, dobbiamo chiedere scusa. Perché tutto questo non ha portato, oltre tutto, a nessun risultato nella lotta al terrorismo. Che oggi, dopo quindici anni, è più forte del 2001.
E chiedergli scusa perché, oggi, tra le lacrime e il sangue, sul corpo martoriato di Giulio Regeni, leggiamo la mappa dell’orrore, delle torture in centri segreti, del baratro umano nel quale sono precipitati coloro che sono stati rapiti e torturati.
E dobbiamo dire grazie ad Abu Omar, perché questa lezione potrebbe renderci migliori. Legiferando finalmente sul reato di tortura in Italia, per esempio, colmando una lacuna che imbarazza questo paese nel mondo, come scrive bene oggi sull’<a href=”http://libertacivili.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/02/23/abu-omar-i-dieci-motivi-che-pongono-litalia-fuori-dal-diritto-internazionale/” target=”_blank”>Espresso</a> Patrizio Gonnella.
Dopo questa condanna è tempo di guardare con un impegno nuovo al segreto di stato, al reato di tortura, ai rapporti opachi con regimi di torturatori e alla nostra storia recente. Perché alla fine non ci si debba rendere conto che è troppo tardi e che abbiamo perso l’anima.