Piero Calamandrei era un giovane avvocato quando partecipò alla Grande Guerra come sottotenente. Nel 1916 gli venne dato l’incarico di “difendere” otto soldati davanti ad un Tribunale militare. Gli otto erano i superstiti di un gruppo più numeroso, che si era perso nella “terra di nessuno” tra le trincee opposte poco prima di un attacco.
Alcuni erano stati uccisi, altri feriti, gli ultimi rimasti si erano addormentati tra le nebbie e si erano ripresentati al Comando la mattina dopo. Il Generale disse che occorreva un processo esemplare e che almeno uno doveva essere fucilato. Per dare l’esempio. L’allora giovane sottoufficiale, futuro padre della Costituzione, ebbe la meglio sul desiderio di vendetta dei generali: Calamandrei riuscì a dimostrare che non c’era alcuna ragione per una sanzione così estrema e gli otto soldati si salvarono.
Ne scrisse lui stesso, anni dopo, intitolando quel resoconto “Castrensis iurisdictio obtusior”, più o meno “quanto è ottusa la giurisdizione militare”.
di Danilo De Biasio, direttore del Festival
Facendo le debite differenze la vicenda di Mimmo Lucano mi ha ricordato questa vecchia pagina di storia. Intravedo in Salvini la
stessa voglia di vendetta che avevano i generali che hanno mandato al macello due generazioni di italiani nel ‘15-‘18. Una vendetta nata non solo dall’impotenza, ma anche dalla meschina volontà di cancellare ciò che intralcia i loro piani, in questo caso il modello di integrazione di Riace contrapposto a quello escludente di Salvini. Così come vedo nella difesa di Piero Calamandrei quel lungimirante e ponderato ragionamento sulla rigidità della legge e la sua messa in discussione.
A Lodi c’è il naturale sviluppo della politica suprematista bianca. Qui sono i bambini a farne le spese sulla base di un’ordinanza comunale pensata apposta allo scopo. Viene richiesta la presentazione di documenti dal paese d’origine delle famiglie straniere: niente documentazione, niente refezione. Prendersela con i bambini dimostra un sadismo che dovrebbe far scattare automaticamente l’inidoneità per un amministratore pubblico, in questo caso Sara Casanova, sindaca leghista di Lodi. Invece per un mese circa la sindaca ha goduto del silenzio complice del suo partito e dei suoi alleati, fino a quando il caso dei bambini figli di stranieri messi a mangiare nel ghetto della scuola non è finito in prime time. Solo a quel punto, tardivamente e pavidamente,
qualche timido segnale di distanza dall’insana ordinanza della sindaca leghista ha cominciato a palesarsi. Merito anche della raccolta di fondi che in poche ore ha raggiunto la cifra necessaria per riportare i bambini in apartheid insieme agli altri. Perché dalla classe inizia il percorso virtuoso di convivenza.
Cosa insegnano i casi di Lodi e Riace? Che contro chi vuole relegare solo ai bianchi e a chi appoggia il governo i diritti universali c’è chi dice no. Il Festival dei Diritti Umani si schiera con questi ultimi. E lo fa anche con una campagna che ribalta il suprematismo salviniano: se lui dice “prima gli italiani” noi contrapponiamo “prima i diritti umani”.
Solo così la società può crescere sana e solida.
P.S. Grazie alla matita di Gianluca Costantini che, come sempre, ha saputo rendere al meglio questo desiderio di giustizia.
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